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Motomondiale: Spa, perché no? Per la sicurezza o per i soldi?

Il Motomondiale non si correrà a Spa-Francoschamps per volere di Ezpeleta, CEO Dorna

Motomondiale 2017 – Niet. a Spa Francorchamps il Motomondiale non torna. Ezpeleta dixit. Il CEO di Dorna, cioè il deus ex machina della società che gestisce (oltre il mondiale SBK e il CEV) in totale monopolio il Motomondiale ha chiuso ogni possibilità – per ora – di riportare sul mitico tracciato delle Ardenne una tappa iridata lasciando invece aperto un varco per la SBK. Ezpeleta: “Il problema principale è la sicurezza. Per noi è quasi impossibile omologare il circuito per la MotoGP”. In questa frase del patron della Dorna ci sono due parole da mettere sul bilancino: la prima è “principale” (…il problema principale è…), la seconda è “quasi” (… è quasi impossibile …).

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“Principale” significa che quello della sicurezza non è quindi l’unico problema che non consente di riportare il Motomondiale a Spa? Ci sono altri problemi? Quali? Le… monete? Interessi che non collimano? O cos altro? Rispetto al “quasi” significa che non è proprio impossibile omologare il circuito stradale belga. Cosa si può fare per giungere all’ok della omologazione? Infine c’è l’apertura di Ezpeleta per far correre a Spa la SBK: “Per la SBK possiamo discuterne”? Due pesi e due misure che non convincono. Se il problema principale del “No” a Spa è la sicurezza, i rischi non sono gli stessi per la MotoGP come per la SBK? Don Carmelo, stavolta, o non la racconta giusta o non la sa raccontare.

La motivazione del gran capo Dorna per rifiutare il GP del Belgio non convince anche perché altri circuiti “vecchio stampo”, ritenuti pericolosi (ad esempio Monza, Imola, Le Mans, Assen), con accorgimenti discutibili ma opportuni (modifiche al tracciato con chicane, vie di fuga ecc.) per abbassare le velocità sono oggi fruibili anche se sempre nel gorgo delle polemiche e – alcuni – fuori dal giro della MotoGP, ma per altri (noti) motivi soprattutto legati sostanzialmente al business. Ma Spa, si dirà, è un tracciato “stradale” quindi non facile da adattare alle esigenze della sicurezza. A parte che a Spa ci corrono le auto dal 1924 (F1, 1000 Km, 24 Ore, nonché tutt’ora gare internazionali di moto e iridate come il Mondiale Endurance), ma proprio perché è un tracciato stradale dovrebbe essere meno difficile apportare le modifiche per renderlo un po’ meno… “cattivo”, tant’è che il tracciato ha subito nel corso degli anni molti rimaneggiamenti per la sicurezza, rimanendo il proprio appeal (quasi) inalterato.

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A chi non ha mai visto dal vivo una corsa del mondiale di moto a Spa (il TT è un’altra storia…) riesce oggi difficile capire non solo cos’è questo circuito ma cos’è quel tipo di motociclismo. Ai tempi del suo massimo splendore erano quattordici chilometri e centoventi metri (ridotti poi a 7 Km dal 1979) equivalenti a un volo senza respiro per moto e piloti, uno show mozzafiato, esaltante per i corridori in pista e per gli appassionati ai bordi degli infernali saliscendi fra le foreste delle Ardenne, in un paesaggio incantevole, dove (anche per le bizzarrie del meteo) primeggiavano i piloti “da pelo” e le moto super. E’ sempre stato il circuito con la media sul giro più elevata (quasi mezzo secolo fa, nel 1969 Agostini (MV Agusta 500) superò i 210 Kmh (210,273) nel giro veloce. E non stiamo parlando di un tracciato piatto con due fettucce raccordate da due curvette di ritorno.

Spa è stata la sublimazione del “misto-veloce” o, se più aggrada, del “misto-super veloce” (oggi il miglior esempio del misto-veloce collinare è il Mugello, con Phillip Island altrettanto pregevole se pur “piatto”) con curvoni saliscendi a manetta da spavento ma anche con frenate da catapultare i piloti e “esse” ventre a terra da serpenti avvelenati. Alla staccata della Source con i piloti impiccati che si aprivano a ventaglio, i freni a tamburo si squagliavano e le forcelle andavano letteralmente “a pacco”. Altre staccate da far rizzare i capelli avvenivano in fondo al discesone su Malmedy e Stavelot. Il resto era tutto “a gas pieno”, (che dire della Eau- Raidillon?), motori dal sublime sound al massimo dei giri per un tempo… infinito, una rischiosissima sequenza rasoterra destra-sinistra-destra in continue discesa-salita con i piloti avvinti più… agli abeti che al manubrio.

Chi scrive queste note ha trovato per anni qui sulle Ardenne (solo il vecchio Nurburgring lo eguagliava) l’essenza del motociclismo de: “I giorni del coraggio”, un circuito dove hanno scritto pagine di gloria grandi campioni: Duke, Surtees, Pagani, Ruffo, Ambrosini, Lorenzetti, Sandford, Haas, Hollaus, Lomas, Masetti, Liberati, Mc Intyre, Ubbiali, Provini, Taveri, Bryans, Ivy, Read, Anderson, Braun, Pileri, Bianchi, Gresini, Cadalora, Phillis, Venturi, Grassetti, Carruthers, Gould, Braun, Lega, Mang, Ballington, Ekerold, Biliotti, Lavado, Sarron, Mang, Redman, Hocking, Hailwood, Agostini, Pasolini, Villa, Nieto, Degner, Lazzarini, Martinez, Lucchinelli, Uncini, Saarinen, Roberts, Cecotto, Sheene, Kocinsky, Cadalora, Spencer, Lawson, Gardner, Rainey ecc. ecc. Dal 1949 al 1990 a Spa il Motomondiale ha vissuto tappe esaltanti, purtroppo spesso funestate da gravissimi incidenti e anche da tragedie. Le corse – va ribadito – restano pericolose perché l’errore umano, il guasto tecnico, la sfortuna sono sempre in agguato.

La sicurezza ha fatto passi da giganti da quando imperversavano i guard rail a bordo pista ma i vecchi circuiti o sono stati improvvidamente “eliminati” con un colpo di spugna dal giro del Motomondiale (Spa, Hockenheim, Salzburgring, Monza, Hockenheim ecc.) o “stravolti” (Assen, Imola, Le Mans ecc.) e i nuovi autodromi sono stati realizzati – quasi piste go-kart o toboga – ad uso dello show-business in funzione televisiva (velocità medie basse, nessun curvone, sede stradale molto ampia, lunghezza sotto i 5 Km ecc., pubblico a distanza siderale…) non eliminando le cadute (fanno parte dello show…) ma limitandone le conseguenze fisiche sui piloti che (soprattutto vale per i big) devono tornare prima possibile ad animare la giostra dorata in funzione dell’audience.

Oggi, dopo aver illuso, Ezpeleta dice NO a Spa continuando a spostare a tappe forzate il Motomondiale dall’Europa al resto del Mondo. Una scelta dettata dalla (discutibile) globalizzazione in nome del business. Giusto allargare l’orizzonte portando le corse altrove. Ma perché cancellare le radici non investendo per ravvivarle? Nel cambio, sostituendo un circuito nelle foreste delle Ardenne con un altro nel deserto non si sa dove, sicuramente la Dorna ci ha guadagnato e ci guadagna economicamente. Si può dire che anche il motociclismo ne ha tratto e ne trae vantaggio?

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