Ducati 916 BritDuc: capolavoro o sacrilegio?
Il restomod di Dan Benson ridà vita a una rara Ducati 916 SPS: 130 CV stimati, componenti Ohlins e Brembo, livrea ispirata al Britten V1000 e vocazione racing.
Quando la passione per le due ruote incontra la voglia di sperimentare, possono nascere progetti destinati a dividere gli animi degli appassionati. È il caso della Ducati 916 SPS “BritDuc”, una moto che oggi fa discutere il mondo del collezionismo motociclistico e che rappresenta una delle interpretazioni più radicali e audaci del concetto di restomod. A guidare questa trasformazione è Dan Benson, pilota americano e visionario, che non ha esitato a descrivere la sua creatura come “un’opera d’arte riportata in vita, capace di esprimersi con un linguaggio nuovo e contemporaneo”.
La storia di questa moto inizia in modo quasi tragico: abbandonata per oltre vent’anni all’aperto, la Ducati 916 SPS era poco più di un relitto, uno dei soli 1.462 esemplari prodotti nel 1997 per l’omologazione del potente motore 996 cc destinato al campionato Superbike. Invece di optare per un restauro filologico, Benson ha scelto di intraprendere la strada più rischiosa e innovativa, trasformando il mezzo in un progetto capace di polarizzare la comunità motociclistica.
La filosofia alla base di questa scelta è quella di una nuova corrente nel mondo delle moto d’epoca: non limitarsi a conservare la storia, ma aggiornarla, migliorarla, renderla più sicura e performante senza però cancellarne l’identità. Il risultato? Una moto che, grazie a una serie di interventi tecnici di altissimo livello, raggiunge la ragguardevole potenza di 130 cavalli e offre sensazioni di guida che Benson stesso definisce “esaltanti e impegnative”.
L’intervento sulla BritDuc è stato totale e ha coinvolto ogni singolo componente. Il telaio, ad esempio, proviene da una 996 del 2001, mentre le sospensioni sono state completamente riprogettate con componenti Ohlins di ultima generazione, garantendo una tenuta di strada superiore e una precisione di guida che nulla ha da invidiare alle moderne superbike.
Ma è il cuore pulsante della moto a raccontare il vero salto di qualità: il motore originale è stato smontato e ricostruito con l’integrazione di bielle in titanio e un albero motore alleggerito, soluzioni che permettono una risposta più pronta e una maggiore affidabilità anche sotto stress. Il sistema frenante, altro punto chiave della trasformazione, è stato completamente aggiornato grazie all’adozione di pinze Brembo monoblocco, direttamente derivate dalla più recente 1098, offrendo così una potenza di arresto e una modulabilità impensabili per una sportiva degli anni ’90.
A completare il quadro tecnico troviamo cerchi Marchesini, sinonimo di leggerezza e robustezza, che contribuiscono a ridurre le masse non sospese e migliorare la maneggevolezza generale della moto. Tutto questo lavoro di aggiornamento, però, non ha riguardato solo la parte meccanica: la scelta estetica di Benson ha fatto ancora più scalpore tra i puristi.
Abbandonando il classico rosso che da sempre identifica le Ducati, la BritDuc sfoggia una livrea che richiama la leggendaria Britten V1000, una delle moto più rivoluzionarie della storia delle corse. Colori elettrici, rosa e giallo fluorescente si intrecciano in un omaggio dichiarato allo spirito anticonformista di John Britten, un vero pioniere dell’innovazione motociclistica. Questa scelta, coraggiosa e provocatoria, ha suscitato reazioni contrastanti: da un lato chi apprezza la volontà di rompere gli schemi, dall’altro chi considera quasi un sacrilegio modificare una delle icone del motociclismo italiano.
Il dibattito attorno alla BritDuc si inserisce così in una questione più ampia che coinvolge tutti gli appassionati di moto storiche: è giusto conservare in modo integrale oppure reinterpretare con sensibilità contemporanea? Per Dan Benson, la risposta è chiara: restituire la strada a un esemplare raro come la Ducati 916 SPS è il miglior modo per rendere omaggio alla sua tradizione, mantenendo viva la passione e aprendo nuove strade al collezionismo.
L’impiego di componentistica di altissimo livello come Ohlins, Brembo e Marchesini conferisce a questo progetto un valore tecnico indiscutibile, dimostrando che anche una moto destinata all’oblio può rinascere come simbolo di innovazione e rispetto per la storia. Che piaccia o meno, la BritDuc è diventata un ponte tra passato e presente, capace di accendere discussioni e alimentare la passione degli appassionati di tutto il mondo.