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Valentino Rossi, la “lezione” del rientro dopo l’incidente

La lezione di Valentino Rossi sul rientro in pista dopo la frattura di tibia e perone

Si è tanto scritto e detto sul ritorno alle corse di Valentino Rossi dopo 21 giorni dalla frattura di tibia e perone alla gamba destra causata dall’arcinoto incidente in allenamento con l’enduro. C’è chi mette addirittura in dubbio la frattura, vista come inedito stratagemma del 9 volte campione del Mondo per calamitare su di sé l’attenzione e/o per accampare scuse di fronte al titolo numero dieci che ancora sfugge. E c’è chi, per togliere l’esclusiva al “Dottore”, ricorda che altri piloti in epoche diverse sono stati protagonisti di recuperi prodigiosi dopo rovinose cadute e pesanti fratture.

Qui ricordiamo solo un fatto emblematico: l’1 settembre 1925 l’Alfa Romeo, rimasta senza pilota di punta per la morte di Antonio Ascari nell’incidente del 26 luglio nel GP di Francia a Monthlery, chiama Tazio Nuvolari per un test a Monza sulla sua poderosa P2. L’asso mantovano non si fa pregare, spinge forte e batte subito ogni record ma alla seconda di Lesmo esce di pista ferendosi seriamente e finendo malandato in ospedale. Incurante delle ammaccature e delle fratture, Tazio decide di non disertare il successivo GP delle Nazioni motociclistico in programma la settimana dopo sullo stesso autodromo brianzolo. Alla vigilia della gara esce nottetempo dall’ospedale, corre e vince la corsa sulla Bianchi 350 “Freccia celeste” in un calvario di oltre 300 Km, tutto fasciato e con un corsetto di cuoio fatto a mano da un suo amico per tenerlo steso sul serbatoio.

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La folla lo porta in trionfo incurante delle sua grida per il dolore delle ferite. Raccontava poi Nuvolari: “Avvertii i piedi sguazzarmi dentro gli stivaletti come quando si va a caccia in palude: quanta acqua pensai. E invece era il sangue colato dalle ferite…”. Già, quando correva Nuvolari, quando c’era il “Motociclismo dei pionieri” e poi quello de: “I giorni del coraggio”, fino a oggi, così diverso ma sempre lo stesso per il rischio ineliminabile e per la volontà dei piloti di “esserci sempre” e comunque. La storia si ripete, dunque? Non proprio. Perché se è vero che tanti piloti hanno gareggiato dopo rovinose cadute e dopo ferite e fratture, richiamando anche con eccessiva enfasi alle gesta degli eroi, sono diverse le conseguenze che tali rientri hanno determinato nelle singole corse, nel motociclismo in generale, nei media, nell’opinione pubblica.

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La suspance per le condizioni post operatorie di Valentino ha dominato i giorni fino al GP di San Marino-Riviera di Rimini ben oltre i confini del motociclismo; poi “il correrà o non correrà” – vero e proprio tormentone” – ha tenuto banco fino alla vigilia del successivo GP; infine, dopo il positivo test privato a Misano, l’annuncio della volontà di gareggiare ad Aragon, l’ok alla visita medica, il ritorno in sella sulla M1, le qualifiche da prima fila, la gara terminata nella top five, con sommo gaudio dei più. Per giornali, tv, social è stata questa “la notizia”. Il rientro di Rossi ha messo in secondo piano, se non oscurato totalmente, tutto il resto, compreso l’andamento della gara e di chi l’ha vinta. I cosiddetti “veri” appassionati hanno rivolto la loro attenzione alle mirabili gesta di Marquez, di Pedrosa, di Lorenzo ma il grande popolo della tv ha “tribolato” per seguire con ansia e meraviglia le gesta di Valentino sublimate dai commentatori Tv, felici e appagati di vederlo di nuovo in battaglia, protagonista.

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Nei titoli dei tiggì (e poi in quelli dei giornali) “la notizia” è stata il rientro del Dottore, non Marquez che trionfa ancora e s’invola verso il titolo, non Lorenzo che sulla Ducati torna protagonista ecc. Giusto o sbagliato è così. Piaccia o no è così. Il motociclismo ha (specie in Italia, ma non solo) due tipi di pubblico: lo zoccolo duro degli aficionados che seguono le gare a prescindere da chi sono i corridori e il grande pubblico televisivo che da anni segue le gare fondamentalmente per seguire e tifare Valentino. Esattamente come è stato per Tomba nello sci e per altri (pochi) nostri campioni in altri sport. Il rapporto fra questi due tipi di pubblico non è al momento stabilizzato in percentuale perché a Misano (pur con un forte calo di presenti in autodromo e dell’audience tv) l’assenza di Rossi non ha causato il tracollo dei biglietti essendo stati questi venduti quasi totalmente in prevendita mesi e settimane prima e in tv la gente seguiva il GP sperando di vedere apparire il proprio beniamino o comunque di ricevere news aggiornate su di lui.

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Tuttavia il segnale di “allarme” si è acceso: si tratta ora di capire se la luce è gialla o rossa. Senza Rossi in pista la MotoGP subisce oggi un colpo pesantissimo togliendo al grande pubblico (la famosa massaia di Voghera ecc.) il principale motivo di interesse. Qui non sono in discussione né la qualità degli altri piloti né lo show in pista o il livello tecnico delle gare e né il perché il motociclismo è su questo crinale: con il “Dottore” ha un certo seguito e senza il “Dottore” questo seguito sugli spalti degli autodromi e (soprattutto) in Tv cala pesantemente. Stando così la situazione, in mancanza di una volontà di rifondazione culturale e identitaria, servono principalmente due cose: che Valentino continui a correre da protagonista e che un altro pilota (italiano) sia in grado di proseguire sulle sue orme. Sul primo punto, presumibilmente per altre due stagioni Rossi ci sarà. Sul secondo punto, con tutto il rispetto per i nostri Dovizioso, Iannone, Petrucci, Pirro ecc., non vediamo fra questi il prossimo “sostituto” di Valentino.

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Oggi, un Marquez è più vincente di Rossi e non è certo inferiore, come pilota, all’asso di Tavullia. Ma collezionare vittorie in gare e titoli mondiali non basta per conquistare il cuore di milioni e milioni di “appassionati della domenica”. Non basta, insomma, neppure diventare un “cannibale”, dominando. Alla classe, alla determinazione, ai “numeri” in pista, ai grandi duelli con grandi avversari, all’appellativo di “fenomeno” vincente serve il quid che si chiama “carisma”: quel mix di qualità tecniche e umane che trasforma un fuoriclasse in un “mito” da “idolatrare”. Senza miti, il grande sport (anche il grande motociclismo) esce dall’immaginario collettivo per rinchiudersi nelle beghe dei fan.

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