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Nicky Hayden e quella corsa dei fenomeni da social

Questo non è un articolo politicamente corretto. E’ un analisi su quel rispetto che in certi momenti, sarebbe servito

Durante la conferenza stampa indetta dall’avvocato della famiglia Hayden all’ospedale Bufalini di Cesena, dove è stato comunicato il bellissimo gesto finale di Nicky e dei suoi parenti, che hanno acconsentito alla donazione degli organi, un ringraziamento mi ha colpito particolarmente, quello verso i giornalisti, verso la stampa “per l’attenzione e la vicinanza a questa vicenda”.

Ecco, è qui che inizia questa riflessione forse poco politicamente corretta. E’ una riflessione che attirerà probabilmente delle critiche, ma che è fatta da chi vive le due facce di una medaglia: da ragazzo, da uomo, appassionato da un lato e da giornalista dall’altro che da quel maledetto 17 maggio ha seguito e scritto articoli su articoli.

Il giornalista chiamava il Bufalini di Cesena, sentiva al telefono gente del posto, ripassava gli articoli 589 e 590 BIS. Ma sopratutto attendeva i comunicati stampa dell’Ospedale. L’uomo viveva il dolore e la sofferenza, confrontandosi anche sui social, come è normale al giorno d’oggi.

Sono sempre stato abituato a vedere la mia categoria massacrata proprio sui social. “Giornalai” è uno dei termini più comuni, con improperi e offese da parte di tanti fenomeni da tastiera. Lo ammetto, talvolta la mia categoria se l’è proprio meritata. Eppure mai come stavolta non c’è stato un “giornalaio” che uno che non si è stretto a questa vicenda, rimanendo silente, pacato nei modi e nei termini nell’affrontare questi giorni seguendo un’etica ed una deontologia che – per umanità ma anche per ruolo – deve avere.

Come se lo spirito di Nicky, da grande signore quale era, avesse coinvolto chiunque. Lo sapevamo tutti, ma proprio tutti, che per Hayden ci sarebbero state speranze ridotte al lumicino, eppure anche nella morte c’è una procedura, c’è un’etica da seguire, un’ufficialità.

Serve il rispetto verso la gente che ti legge da un lato, le tantissime persone (sì, anche e sopratutto sui social network) che avevano a cuore la sorte di Hayden, in maniera pura e dolce, ma anche e sopratutto per i cari ed i familiari della vittima e delle persone coinvolte. Ed invece proprio alcuni fenomeni da social si sono scatenati.

Non tutti sia chiaro, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ma alcuni si: una rincorsa a chi dava per prima la notizia della morte. Magari perchè conosceva qualcuno all’ospedale. “Una fonte mi ha detto”, “un amico mi dice”, “guardate che mi è stato riferito che…” e giù ad attacchi se ti permettevi di contestare il concetto. Una corsa, una rincorsa a chi dava per primo l’ultimo saluto ad Hayden prima ancora che fosse morto. E guai se ti permettevi di richiedere rispetto. L’epiteto più tranquillo ricevuto? “Vergognati”.

Poi i fenomeni da tastiera che riuscivano a fare rilevamenti tecnici degni dei migliori periti sull’incidente rimanendo seduti davanti ad una tastiera. Gente che accusava a destra e manca. “Eh, ma sai come sono i social network” mi si dirà. Non ce l’ho fatta: mi sono confrontato con alcuni di loro.

Qualcuno era in buonissima fede, qualcun’altro si arrampicava dietro il classico “ma tu non sai chi sono io”, qualcun’altro si trincerava dietro il ….democratico “ora non sono libero di dire ciò che penso?“. Utenti che parlavano di metri, di punti di impatto, facendo arringhe accusatorie principalmente su un povero cristiano che stava tornando a lavoro e che deve avere la presunzione di innocenza fino a quando i giudici non daranno una sentenza definitiva.

No, non si può dire qualsiasi cosa che passi per la testa, non si può piangere ufficialmente un morto prima di una comunicazione ufficiale, non è una gara, non è una corsa al lutto.

Non serviva che papà Hayden dovesse scrivere una nota informativa sulle fake news da quella lontanissima Owensboro.

Si, anche se tutti sapevamo che con ogni probabilità avremmo pianto di li a breve. E’ per questo che per, una volta, dopo aver pianto lacrime profonde davanti ad una tastiera, quel ringraziamento alla stampa da parte della famiglia Hayden, a cui in mille altre circostanze non avrei fatto probabilmente caso, me lo sono fatto mio.

Una piccola pacca sulla spalla, semplicemente per aver rispettato quel modo di essere a cui Nicky ci aveva abituato: composto, generoso, signorile. Ora, silenzio.

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