MotoGP: Rins-Suzuki, non solo “guastafeste”
Il 24enne rider di Barcellona dallo sguardo timido e dal sorriso mesto – ricorda un po’ l’americano Eddie Lawson – è fra i pochi in MotoGP che non fa rumore, non fa colore, non fa storie…
Dopo i primi tre round iridati 2019 in Qatar, Argentina, Usa, al rientro in Europa il 5 maggio a Jerez c’è grande attesa per Alex Rins (e per la Suzuki) gran vincitore MotoGP ad Austin. Una sorpresa per chi pensa che il Motomondiale sia “proprietà” dei “soliti noti”, una conferma per chi vedeva i progressi continui sia del pilota spagnolo che della moto della Casa giapponese, considerata a torto, la cenerentola di fronte a Honda e Yamaha.
“Rossi gets Rins’ed” (Rossi “sciacquato” da Rins) ha titolato l’autorevole magazine inglese MCN giocando sul doppio senso del verbo “rins”. Il 24enne rider di Barcellona dallo sguardo timido e dal sorriso mesto – ricorda un po’ l’americano Eddie Lawson – è fra i pochi in MotoGP che non fa rumore, non fa colore, non fa storie.
Detto in altre parole, se ne frega dell’assordante contorno. Instancabile e pignolo nel certosino lavoro di sviluppo del mezzo, Rins va sempre diritto alla sostanza del “problema” per limare quel decimo di secondo che poi in pista può diventare decisivo. Al suo primo trionfo in MotoGP al Cota Rins ha dimostrato la stoffa del campione: capace di gran recupero dopo le solite qualifiche opache, capace di tenere un passo super, con tattica da vecchio volpone.
Piegare in un durissimo e correttissimo corpo a corpo un leone dagli artigli acuminati rodato in mille assalti dopo oltre 20 anni di carriera, qual è Valentino Rossi in giornata “Sì”, è “roba” che lascia il segno. Senza offesa, se al Cota al posto di Rins ci fosse stato un Sete Gibernau, Rossi non avrebbe avuto problemi a infilarlo nell’ultimo giro, nell’ultima curva. Ma Rossi non è più quello dei tempi di Gibernau, si dice. Vero. Occhio, però: svalutare Rossi significa cancellare mezza MotoGP e di più. Nelle corse non contano i primi capelli argentati o le prime rughe ma, senza retorica alcuna, conta il cronometro, il tempo sul giro, il passo, il risultato.
In questo, anche senza la ciliegina della vittoria e il corollario di sbavature impensabili un decennio addietro, Rossi resta Rossi, come dimostrano i primi tre appuntamenti stagionali, con alto livello di competitività, lucidità e determinazione, i due podi, la classifica generale. Questo non per ribadire quel che si sa sul 9 volte campione del Mondo, ma per significare “quanto” vale la lotta vincente di Rins. Finita la gara, l’abbraccio di Valentino ad Alex la dice lunga su quanto accaduto in corsa e sull’apprezzamento di uno assai parco nel dire “bravo!” a chi lo batte.
Rins ha battuto Rossi ma ha battuto anche Marquez! Come? Il tempo totale di gara di Rins è stato: 41’45.499, quasi 7 secondi più basso de miglior tempo (41’52.002) fatto da Marquez nel 2018! Un dato tecnicamente pregevole che va oltre il valore del record stesso.
Adesso la domanda s’impone: Rins e la Suzuki si ripeteranno, competitivi, a lottare per il podio e per il suo gradino più alto? Valutando Rins e la Suzuki sarebbe errato parlare di un miracolo. Il risultato in Texas è il frutto, oltre che di un lungo e duro lavoro, di un modo di fare e di pensare le corse in senso strategico, forse meno appariscente di altri ma “cum grano salis”, senza che quel che accade in ogni tappa possa incidere più di tanto sul percorso e soprattutto senza derogare rispetto alla meta.
C’è, in questa strategia, il mix fra la cultura (non solo motoristica) giapponese (della goccia che batte instancabilmente) e quella italiana (del fuoco che va tenuto vivo ma sotto controllo), qui più che ben interpretata da uno stratega di lungo corso qual è Davide Brivio. Suzuki ha dato a Rins la libertà di essere se stesso, senza strappi nel suo processo di crescita in MotoGP, certi del valore del pilota e di quanto e come Suzuki poteva dargli in pista e fuori.
Con il trionfo americano Rins, animale da gara dal cuore grande e dal sangue freddo, ha superato l’esame di maturità. Ma la strada verso la laurea è ancora lunga e gli esami da superare sono ancora tanti. Adesso, dopo Austin, servono conferme. Gli appuntamenti di maggio (Jerez e Le Mans) e di giugno (Mugello, Catalunya, Assen) saranno decisivi. Alex: Hic Rhodus, hic salta. Suzuki ha spezzato il cerchio chiuso per anni da Honda, Yamaha, Ducati tornando alle straordinarie epopee della 500 2 tempi di Barry Sheene (iridato 1976 e 1977) e di Kevin Schwantz (iridato nel 1993). La parola alla pista.