Il ricordo: il 25 marzo 2014 se ne andava Claudio Porrozzi
C’era un ragazzo – lungo come una pertica, magro come un chiodo, il ciuffo ribelle che gli copriva i grandi occhialoni neri – nascosto alla curva Roma di Vallelunga…
Nei momenti bui del motociclismo quando a Vallelunga gli spettatori (paganti) si contavano sulle dita delle mani Claudio Porrozzi non si perdeva d’animo: “Andrà meglio la prossima volta”. Sono già passati sei anni da quel triste 25 marzo 2014 quando, stroncato da una malattia assassina, a 63 anni portati signorilmente e impreziositi dal ribelle baffo argentato, Claudio Porrozzi se ne andava lasciando un vuoto profondo nel motociclismo e nel giornalismo. Oggi, da lassù, penna e notes in una mano e cronometro a cipolla nell’altra, Claudio guarderà con distaccata preoccupazione quel che sta provocando il coronavirus ma, dopo un sospiro, dirà: “Presto andrà meglio. Bisogna tenere duro. Passerà”. Già. Ti crediamo, Claudio anche perché tu eri quello che “ci azzeccava”, riguardo alla pista e fuori. Il tempo sbiadisce i ricordi, ma i fatti restano. Claudio Porrozzi, romano orgoglioso, è stato per quasi mezzo secolo personaggio fra i più attivi e stimati del motociclismo italiano e internazionale, manager, dirigente della FMI, soprattutto grande appassionato delle corse, giornalista di rara competenza e scrittore raffinato.
Aveva intuito, con i fratelli Flammini, le potenzialità delle gare derivate di serie e per decenni è stato la punta di diamante della comunicazione del Campionato del Mondo Superbike, scrivendo anche un magistrale libro ufficiale, vera “Bibbia” della specialità. Claudio era stato promotore e direttore di riviste di settore e aveva avuto, dal 2000 al 20110, l’incarico della Federazione Motociclistica Italiana quale Responsabile del settore velocità, di fatto fu l’inventore del CIV, rilanciando il “tricolore” velocità. Claudio Porrozzi faceva parte della terza generazione dei giornalisti, dopo i grandi pionieri quali Gino Magniani e Arturo Coerezza, dopo le grandi firme degli anni 50-60 De Deo Ceccarelli, Roberto Patrignani, Carlo Perelli, Ezio Pirazzini, G.B. Marcheggiani, Torribio Gentilucci, Nico Cereghini, Pino Allievi, Marino Bartoletti ecc.
Io, di un anno più anziano, ho conosciuto Claudio poco più sedicenne a fine anni ‘60 a un test della MotoBì ufficiale all’autodromo di Vallelunga. C’era un ragazzo – lungo come una pertica, magro come un chiodo, il ciuffo ribelle che gli copriva i grandi occhialoni neri – nascosto alla curva Roma (quando si girava all’incontrario), scattava foto e solo alla fine entrò nel paddock, senza avvicinarsi al furgone della Casa pesarese, anche perché il mitico gran capo Primo Zanzani non ammetteva … ospiti. Un saluto e diventammo amici, anche se frequentandoci poco. Claudio iniziò la sua carriera di giornalista proprio con me, nel 1969, io direttore del periodico TuttoMoto, editore Giancarlo Morbidelli. Mi chiese di poter scrivere di corse, ma lo spazio era coperto da grandi firme quali Pirazzini, Marcheggiani, Franco Mento, Torribio Gentilucci, Michele Verrini e da fotografi quali Walter e Claudio Bernagozzi e Volcher Rauch. E Claudio si …. inventò i side-cars, facendo conoscere a tutti le gesta dei grandi di allora, a cominciare dai romani e straordinari Luigi Dal Toè e Alberto Ieva.
Ci siamo visti l’ultima volta nel 2013, in sala stampa all’autodromo del Mugello in occasione del CIV, ci abbracciammo e mi salutò così: “Hai visto, sono ancora qui come 50 anni fa, resto un inguaribile bambinone che gioca con le sue moto e le sue corse”. E tornò a lavorare, con il suo inseparabile bloc-notes, sul suo pc, come battesse ancora sui tasti della sua Lettera 22, con lo stesso entusiasmo e la stessa meticolosità di sempre, come fosse la prima volta. Ironico, ragazzo di poche parole, sempre a voce bassa, dal sorriso centellinato ma schietto, amava ascoltare, riflettere, non tranciava giudizi e, sempre, stava dalla parte dei piloti, specie quelli delle ultime file.
Non sapeva (tutto) solo di moto e di corse perché la sua curiosità lo portava ad esplorare i fatti della vita, come una corsa nella corsa difficile di tutti i giorni. Aveva saputo interpretare i passaggi delle diverse epoche del motociclismo, ma rimaneva con il cuore ai tempi di Vallelunga all’incontrario, alle vecchie Acque Minerali di Imola, all’Ascari di Monza senza varianti, alle moto portate sul carrello dietro l’auto. Come me, amava poco la tribuna e la sala stampa, così andavamo spesso insieme nelle curve, sui circuiti cittadini e a Vallelunga, a Imola, a Modena, a Monza, a Spa, a Salisburgo, ad Assen, a Le Mans, a misurare una staccata, a capire i motivi di un sorpasso, i perché di una caduta. Ancora Ciao, Claudio! Te ne sei andato troppo presto, in modo felpato, quasi timoroso di disturbare, allo stesso modo di quando frequentavi i circuiti di mezzo mondo.