Home Campioni senza “corona”: Remo Venturi, l’umiltà del forte

Campioni senza “corona”: Remo Venturi, l’umiltà del forte

E’ vero quel che diceva Enzo Ferrari: “Il secondo è il primo degli ultimi”? Forse. Ma ci sono eccezioni che confermano la regola. Come nel ciclismo arrivare secondi dietro a Fausto Coppi o a Eddy Merckx equivaleva a una … quasi vittoria, anche nel motomondiale giungere dietro a un certo … John Surtees valeva un

E’ vero quel che diceva Enzo Ferrari: “Il secondo è il primo degli ultimi”? Forse. Ma ci sono eccezioni che confermano la regola. Come nel ciclismo arrivare secondi dietro a Fausto Coppi o a Eddy Merckx equivaleva a una … quasi vittoria, anche nel motomondiale giungere dietro a un certo … John Surtees valeva un …quasi titolo iridato.

Remo Venturi, spoletino classe 1927, in sella alla MV Agusta 500 4 cilindri, finì due volte secondo nei mondiali del 1959 e 1960 (vittoria ad Assen – l’unica iridata – e secondi posti a Clermont Ferrand, Spa e Solitude) proprio dietro al consacrato compagno di squadra Big John, sette volte iridato in moto e campione del mondo anche in Formula uno con la Ferrari. Il conte Agusta non si faceva mancare nulla: voleva arrivare primo, ma anche secondo. E così, spesso accadeva.

Ma Venturi non aveva la vocazione del “secondo”, tant’è che agli inizi di carriera centrò due straordinari successi nelle Gran fondo (1954: primo nella Milano-Taranto di 1289 Km con la Mondial 175 e nel 1957: primo assoluto nel Motogiro di 2058 Km con la MV Agusta 175), corse difficili e pericolosissime, che valevano il titolo mondiale. Remo chiuse la carriera nel 1966, dopo oltre 15 anni, nell’ultima tricolore di Vallelunga, secondo dietro Pasolini (Benelli), guidando da par suo la gloriosa ma superata Gilera 4 cilindri, in pista per l’ultima volta. Chi scrive queste note ricorda con quanta determinazione lo spoletino cercasse quel podio e con quanta felicità lo festeggiò alla fine, abbracciando il riminese della Benelli e Silvio Grassetti (Bianchi), terzo.

Venturi aveva lo sport nel sangue, passando dal pattinaggio, al ciclismo e al motociclismo (con una non eccelsa Dkw 125, poi con una Morini 125 usata) agli inizi degli anni ’50. Erano anni grami, piste non asfaltate, con i piloti come Remo che sgobbavano in officina firmando cambiali per mezzi non competitivi, raggiungevano i circuiti in treno, con la moto come bagaglio al seguito, con pagnotta salame e formaggio e un fiasco di vino per gli amici.

La passione, la stoffa, la capacità tecnica permisero al pilota umbro di aggiudicarsi già nel 1953, con la Mondial 125 ufficiale, il suo primo titolo di Campione d’Italia. Nel 1955 Venturi viene chiamato alla MV Agusta, dove firma un contratto vero e intasca finalmente dei soldi, però trova già accasati ben altri 11 piloti di primissimo livello. Quattro anni da pilota ufficiale con le MV Agusta 4 cl 500, una vittoria, bei piazzamenti, mai una caduta, una sola rottura del motore.

Venturi veniva dalla gavetta, squattrinato e desideroso di emergere ma … senza esagerare. Nel senso che da coscienzioso uomo di squadra privilegiava l’onore della Marca, rispettando quasi militarmente gli ordini impartiti. Alla MV c’erano i migliori piloti dell’epoca e bastava uno sguardo del Conte Domenico Agusta per chiudere ogni diatriba interna fra i vari galletti. Remo non si accontentò, ma certamente non uscì mai fuori dalle righe e dal ruolo assegnatoli dalla squadra, perdendo però anche occasioni d’oro.

Trionfò nel tricolore del ’62, abbandonando la MV (era in arrivo Silvio Grassetti) per la Bianchi bicilindrica, moto che, proprio con lo spoletino, diverrà competitiva nelle 350 e 500. Era finalmente il bolide su misura per Remo, ma con la Casa milanese in stato pre fallimentare. Belle corse, vittorie in Italia, ma non c’erano i mezzi per il mondiale, davvero a portata di mano. Poi, nel 1966, il canto del cigno con la Gilera ufficiale 500 4 cl, carica di tanta gloria ma di troppi anni. Una vittoria a Riccione, la presa d’atto a Monza del gap con le moto avversarie, il bel finale autunnale di Vallelunga. Infine, nel 1969, l’addio alle piste dopo essere diventato recordman mondiale a Monza con la Guzzi V7.

Venturi, oggi nonno arzillo, è stato un pilota piccolo (165 cm di statura) ma un gigante sulle grosse e scorbutiche 350 e 500 pluricilindriche dell’epoca, vincente in tutte le cilindrate con Marche prestigiose (Mondial, MV Agusta, Bianchi, Gilera, Benelli), in tempi quando le corse erano davvero il mestiere più pericoloso. Non emulava nessuno, ma considerava giganti Gary Hocking e John Surtees, ammirava Provini e Masetti, era cresciuto da ragazzo nel mito di Omobono Tenni e poi di Bruno Ruffo.

Pilota tecnico, passista dal… passo pesante, preciso, stesso tempo sul giro come una goccia d’acqua, talmente pulito nella guida da apparire … monotono, anche quando stracciava tutti, compreso il cronometro. Questo è stato Remo Venturi corridore, due volte vicecampione del mondo nella 500 (come già scritto), 23 podi mondiali, premio Caltex 1962, 5 titoli italiani (di cui 4 nella 500), dal 1961 Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi a firma del presidente Giovanni Gronchi. Un grande campione in pista, un vero signore fuori, amico di tutti, poche parole e a bassa voce. Forse anche troppo a bassa voce.

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