Motomondiale Mugello, è qui la festa!
I 100 mila che domenica saranno ai bordi dello spettacolare e infido saliscendi toscano non sono spettatori ma protagonisti essi stessi di un grande evento sportivo che va oltre i confini dello sport
L’appuntamento del GP d’Italia all’autodromo del Mugello, sesto round 2019 del Motomondiale, oltre ai tanti motivi di interesse tecnico e agonistico, è imperdibile perché è una fusione fra il motociclismo odierno e quello de: “I giorni del coraggio”. Per non cadere nel gorgo della retorica, va detto che “là”, al Mugello, c’è la festa. Che è festa di popolo, prima ancora che di appassionati de “mutor”. E’ su quelle colline divenute spalti per decine e decine di migliaia di uomini e donne di ogni età e ceto sociale che l’immaginario collettivo esaltandosi per i campioni di oggi si collega con i campioni di ieri, in un “amarcord” agonistico che così diventa cultura.
I 100 mila e passa che domenica 2 giugno saranno ai bordi dello spettacolare e infido saliscendi nel magnifico scenario collinare toscano non sono spettatori ma protagonisti essi stessi di un grande evento sportivo che va oltre i confini dello sport. C’è da essere orgogliosi perché a pochi altri sport è dato l’onore e il privilegio di portare una tappa del Motomondiale a sintesi culturale di un popolo e di una nazione. Nei decenni scorsi è stato così, nell’ambito di scenari diversi fra loro, a Monza, a Imola, nelle tappe della Mototemporada “tricolore” dal dopoguerra agli anni ’70, quando il motociclismo era più genuino, senza clamori mediatici e senza gossip, meno ricco, più rischioso, né migliore né peggiore di quello odierno, vissuto con la stessa intensità e con la stessa passione da chi si cimentava in pista e da chi li seguiva da bordo dei circuiti, per lo più improvvisati lungo i viali cittadini, o ritagliati da spazi adibiti ad altro. Famiglie intere, tutti col vestito della domenica, invadevano i circuiti perché il motociclismo diventava espressione di un rito collettivo
Oggi il motociclismo ha cambiato contenitore e contenuti ma la sostanza resta la stessa: sport di passione, di spettacolo, di tecnica, di rischio. Il debordare di qualche stupido fan non intacca la bellezza e il valore di quel che accade in pista e sugli spalti quando 100 mila cuori si fermano all’accendersi del “verde” e, dopo il tumulto della battaglia, gli stessi 100 mila cuori esplodono all’abbassarsi della bandiera a scacchi che decreta il fine corsa. Non c’è mai niente di certo, nel motociclismo. La ruota gira. E’ la sua forza. E’ la sua legge. L’unica legge. Il campione ha l’istinto del cacciatore e punta alla preda. Poi, passata la corsa, tutto torna come prima, o quasi. Oggi come ieri non ci sono padroni della corsa, nella corsa. Il padrone è chi è presente, col biglietto in tasca spesso acquistato con sacrifici, l’unico che può dire – anche dopo decenni – “io c’ero”. E’ così da sempre.
Dopo la tragedia della guerra, l’Italia ritrova negli eroi dello sport, ciclismo e motociclismo in primis, i suoi miti, tornando a sognare. La gente si immedesima con i propri beniamini – nel ciclismo i giganti della strada, nel motociclismo i cavalieri del rischio – anche per inseguire quella speranza e quella rivincita sociale umiliata dal “ventennio” e bruciata dagli eventi bellici. E’ (anche) grazie ai nostri campioni e alla nostra industria motociclistica (e automobilistica) che l’Italia riconquista sul campo il rispetto e l’ammirazione internazionale. Il motociclismo è stato ed è lo sport, insieme a pochi altri, più vicino al popolo. Le leggende si tramandano e restano attuali se il rito si ripete. Ci fermiamo qui. A questo motociclismo con i sintomi del male del “gigantismo” chiediamo solo di essere degno del proprio passato, almeno dei suoi momenti di gloria. Non per tornare indietro. Ma perché ci sia un futuro capace di non tradire il ricordo e la speranza. Anche per questo si fa sport e si assiste all’evento sportivo. Il Mugello ci aspetta questo week end. Sarà grande sport. Sarà grande festa. Ognuno deve poter dire: “Io c’ero”.