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Amarcord: Cagiva Aletta Oro e Freccia

Cagiva Freccia, la 125 della Casa varesina che spopolava alla fine degli anni Ottanta tra i sedicenni affamati di prestazioni


Il viaggio nel passato tra le moto immortali protagoniste della rubrica Amarcord torna di nuovo alle piccole schegge 125 degli anni Ottanta. Vi ricordiamo ancora una volta che se avete una moto o anche un ciclomotore che vi sono rimasti nel cuore e volete raccontarci la vostra storia, mandate una mail a [email protected] allegando se possibile qualche vostra immagine d’epoca.

Alla fine del 1984, Cagiva presentò la sua arma per combattere le 125 stradali dell’epoca, prima fra tutte la Honda NS125F, ma anche le varie Aprilia e Gilera. La prima versione si chiamava Aletta Oro S1, e venne introdotto sul mercato nel 1985 al prezzo di poco inferiore ai 4 milioni di lire, mentre l’anno successivo arrivò l’Aletta Oro S2, che si distingueva dalla precedente per la presenza dell’avviamento elettrico e di un nuovo cilindro del motore, ancora però senza valvola di scarico, fatto che rese l’Aletta Oro meno competitiva sul fronte delle prestazioni, ma anche dal punto di vista dell’appeal, in quanto all’epoca avere la valvola di scarico “faceva figo”.

La potenza dichiarata della S2 era di 23,6 CV a 9.100 giri, qualcosa in meno della NS, che ne dichiarava 25, e il prezzo nel 1986 era di 4.398.000 di lire. La vera rivoluzione si ebbe però solo nel 1987 con la Cagiva Freccia C9. La linea era fortemente ispirata alla Ducati Paso 750 presentata nel 1985 (che poi diventò Paso 906 e in seguito semplicemente 907 i.e.) con una carenatura integrale, che comprendeva anche un cupolino senza trasparente, che appesantiva un po’ la linea, oltre a limitare la visibilità.

Amarcord: Cagiva Aletta Oro e Freccia
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Altri tratti distintivi erano il parafango anteriore molto avvolgente, il finto serbatoio ribaltabile che dava accesso anche al serbatoio del lubrificante oltre che a quello della benzina da 16 litri, e i terminali di scarico doppi che fuoriuscivano dal codino. Il prezzo della C9 era di 4.698.900 ed era disponibile nelle colorazioni rosso/bianco con cerchi rossi, blu/bianco con cerchi bianchi e successivamente anche in total red, proprio come la Paso.

Totalmente rinnovate ciclistica e meccanica: la prima si avvaleva di un telaio doppio trave a tubi rettangolari di acciaio, forcella Marzocchi da 35 mm, sospensione posteriore con sistema Soft Damp e ammortizzatore Marzocchi, freni a disco Brembo da 260 e 240 mm, cerchi in lega Grimeca con pneumatici da 100/80-16 davanti e 110/80-17 dietro. Il motore invece, pur condividendo il basamento della S2, aveva un gruppo termico nuovo in lega leggera con valvola allo scarico meccanica CTS (Cagiva Torque System) abbinata alla camera di risonanza CPC (Cagiva Power Chamber), alimentazione con carburatore Dell’Orto PHBH 28ND e contralbero di equilibratura.

La potenza dichiarata era di 27 CV a 10.000 giri, per una velocità massima, sempre dichiarata, di 160 orari. Tra i principali difetti riscontrati, oltre al citato “cupolone”, bello ma poco pratico, anche la linea degli specchietti retrovisori e il maniglione del passeggero “aerodinamico”, piacevole alla vista ma meno al tatto, quando la fidanzatina di turno si doveva aggrappare a ogni accelerata. Tra l’altro la stessa linea della C9, anche se con una livrea bianco/blu, fu scelta anche per la meno fortunata Moto Morini Dart 350, presentata al Salone di Milano nel novembre 1987, in seguito all’acquisizione del marchio Moto Morini da parte del gruppo Cagiva-Ducati e dotata del motore bicilindrico a V di 72° da 344 cc con 35 CV a 8.500 giri.

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Nel 1988 fu la volta della Freccia C10R, presentata all’aeroporto di Bologna in aprile, che si trovò ad affrontare un’agguerrita concorrenza, ma il progetto sembrò funzionare bene e l’ultimo aggiornamento era davvero bello esteticamente, oltre che valido dal punto di vista delle prestazioni. Il prezzo salì e sfiorò i 5 milioni di lire, ma le innovazioni non furono di poco conto. Ritornò lo scarico tradizionale e i colori disponibili erano in pratica quasi delle tinte unite, nero (con cerchi bianchi) , rosso e un vivace giallo (entrambe con cerchi neri), il cupolino fu ridisegnato, con un piccolo spoiler trasparente e gli specchietti con gli indicatori di direzione integrati.

Il motore aveva un nuovo cilindro con valvola CTS ora in alluminio, senza camera di risonanza CPC. La potenza salì di 4 CV rispetto alla C9, mentre la velocità massima superava i 160 km/h ma c’era anche chi, sostituendo semplicemente lo scarico con la mitica espansione Arrow, all’epoca raggiunse i 180 di tachimetro senza alcun problema! Della C10 venne realizzata anche una versione speciale Anniversary, limitata a soli 500 esemplari, per festeggiare i dieci anni del Gruppo, e pertanto contraddistinta dalla targhetta commemorativa e numerata sulla piastra di sterzo. L’Anniversary adottava una nuova livrea rossa e bianca, nuovi cerchi in lega Brembo a 3 razze con pneumatico posteriore da 130/70-17 anziché 110/80, freno a disco anteriore da 298 mm invece che 260 e una nuova valvola di scarico.

Queste modifiche si ripresentarono l’anno successivo sulla Freccia C12R, presentata con lo slogan “la moto con una marcia in più”. Effettivamente la C12 disponeva di cambio a 7 marce e la potenza dichiarata del motore raggiungeva i 31,5 CV a 10.500 giri, mentre esteticamente le differenze sono nel parafango anteriore più piccolo e nella carenatura con differenti livree. Il prezzo era di 5.295.000 lire.

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Ovviamente anche la Freccia fu impiegata con successo nel campionato italiano Sport Production e pertanto nel 1990 fu introdotta la Freccia C12 SP Lucky Explorer che rappresentava la massima evoluzione della Freccia, venduta a 5.795.000 lire. Il motore era alimentato da un carburatore Dell’Orto VHSB 37 ED con diffusore da ben 37 mm! Nonostante dichiarasse la stessa potenza della C12R (un piccolo stratagemma per non presentarsi troppo agguerrita sulla griglia di partenza), rispetto a quest’ultima aveva un paio di cavalli in più, oltre 30 effettivi, che la spingevano a oltre 170 km/h. Ormai il progetto Freccia denunciava il peso degli anni e quindi nel maggio del 1990 fu presentata la rivoluzionaria Mito, sulla quale torneremo presto.

Forse non tutti ricorderanno, visto che la Mito ha avuto una vita piuttosto lunga e negli ultimi anni è sempre stata in versione carenata, che la prima Mito del 1990 fu presentata in versione nuda, sulla scia del successo ottenuto dalla Honda NSR-F. Cagiva fece quindi un passo indietro rispetto alla carenatura integrale della Freccia, arrivando nel segmento delle 125 sportive naked con un po’ di ritardo rispetto a Honda ma presentandosi ovviamente in seguito, alla fine del ’90, anche con la versione carenata, che riprendeva le linee della 500 da GP. Proprio perché in un primo tempo la Mito era disponibile sono il versione nuda, la C12 SP rimase in produzione parallelamente alla nuova arrivata, per poi essere sostituita dalla versione carenata.

La Freccia continuò a essere prodotta fino al 1991 negli stabilimenti in Taiwan, con cambio a sei marce e cerchi della C10, in una versione semplificata denominata Final Year che venne venduta fino al 1993 principalmente sui mercati esteri e non certo in Italia, dove la competizione tra le 125 richiedeva mezzi altamente sofisticati (e costosi). La Mito vedrà anche il “traghettamento” delle 125 da full power a 15 CV, pertanto le ultime versioni, pur mantenendo la linea grintosa della progenitrice, negli anni aggiornata fino a replicare quella della Ducati 916, persero ovviamente, come tutte le ottavo di litro dell’epoca, il fascino delle piccole belve da pista, oggi ormai solo un bel ricordo per tutti i “giovani” nati nella prima metà degli anni Settanta.

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