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Ezpeleta o Rossi, chi mente su Montmelò?

Dal bailamme delle dichiarazioni dopo l’incidente mortale di Luis Salom nelle FP2 Moto2 di venerdì pomeriggio emerge un Motomondiale a “gruviera”, l’opposto di quel che si vuol fare apparire, un’isola felice.

Dal bailamme delle dichiarazioni dopo l’incidente mortale di Luis Salom nelle FP2 Moto2 di venerdì pomeriggio emerge un Motomondiale a “gruviera”, l’opposto di quel che si vuol fare apparire, un’isola felice.

Non torniamo sulla pericolosità delle corse, non eliminabile anche con tutti i passi avanti sulla sicurezza. Motoblog con diversi post ha affrontato la questione dell’incidente di Montmelò con tutti gli strascichi polemici conseguenti. Vogliamo qui tornare invece su quanto detto non dai fan da bar e da tastiera ma da due dei massimi protagonisti del motociclismo, il Ceo Dorna Carmelo Ezpeleta e il 9 volte campione del Mondo Valentino Rossi.

Ezpeleta: “Al disegno del nuovo percorso – una sorta di chicane in più dove Salom ha perso il controllo – hanno contribuito 10 piloti, partecipando con un’attenzione e una sensibilità che ci rende orgogliosi. Ma in realtà tutti quanti, dall’ultimo della Moto3 al primo della MotoGp, ci hanno aiutato in una maniera incredibile”.

Rossi smentisce Ezpeleta perché dice che non ne sapeva niente e che anzi è stato modificato il circuito “Per favorire qualcuno” (Marquez n.d.r.). Non è una questione di lana caprina. O mente l’uno o mente l’altro.

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Ma anche le bugie non hanno lo stesso peso. Valentino è “solo” un corridore che legittimamente punta a garantire i propri interessi agonistici (e non solo) e potrebbe anche disinteressarsi di quel che gli accade intorno in pista, addirittura fino a non “dare peso” a un incidente mortale (forse innescato da un guaio tecnico alla moto con l’epilogo tragico per l’asfalto al posto del sabbione-ghiaione nel fuori pista) come quello subito da Salom.

Poi ognuno può esprimere un proprio giudizio morale o etico sulla sensibilità della persona-pilota. Non è sempre stato così nelle corse? Al Sachsenring quando nelle prove del sabato morì con la Yawa 350 Bill Ivy, Agostini e gli altri – sotto una pioggia battente – si limitarono ad osservare allo start un minuto di silenzio nemmeno guardando un mazzo di fiori posato a terra in prima fila accanto al pilota della MV Agusta nello spazio che doveva essere del povero Bill. Poi la corsa prese normalmente il via. In rare occasioni, dopo incidenti mortali, la corsa è stata fermata, come nella tragedia di Pasolini e Saarinen a Monza nel 1973.

Questo per dire che i piloti sono ragazzi di gran cuore fuori ma gente “particolare” in pista e pensano solo a se stessi anche se sono capaci di gesta di grande altruismo per soccorrere un avversario caduto.

Ieri Valentino ha perso un’altra occasione per stare zitto perché – data la situazione – doveva tenersi – per opportunità – per sé le sue critiche. Ma la questione è di merito: ha ragione o a torto Rossi rispetto a quello che ha detto sulle curve? Perché la Dorna non gli ha risposto e se era il caso, non lo ha penalizzato?

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I fatti sono noti: cambiando la pista per problemi di sicurezza si dimostra che prima quella sicurezza non c’era, tant’è che una caduta ha provocato la morte di un pilota. O quella curva non è responsabile della morte del pilota e allora non rappresenta rischi (potenzialmente tutte le curve e ogni metro del circuito sono a rischio) e quindi andava lasciata com’era o, come in questo caso, viene modificata perché evidentemente ritenuta a posteriori “non sicura”. Se è così perché questo riconoscimento di “non sicurezza” solo dopo l’incidente mortale? Questo è il nodo.

Non servono polemiche né capri espiatori: serve chiarezza ed assunzione di responsabilità per evitare altre tragedie. E’ la Safety Commission che presiede e gestisce la sicurezza del motomondiale? Cosa aspettano i suoi membri – evidentemente non all’altezza del compito, specie sul fronte della prevenzione – a dimettersi? Troppo facile metterci la “pezza” dopo che un ragazzo di 24 anni è morto.

Ma la Safety Commission è solo una rotellina del possente ingranaggio DORNA ed è quindi la DORNA che deve rispondere. Evidentemente, come sempre, finirà tutto nel dimenticatoio, se non a tarallucci e vino.

A Valentino Rossi vanno tirate le orecchie per la sua lingua lunga “pro domo sua” ma forse le sue parole potrebbero essere considerate un opportuno sasso nello stagno. Anche da questa tragica vicenda emerge una sola certezza: in questo Motomondiale targato Dorna, con la FIM soprammobile impolverato, tutto è sacrificato al business. Anche la sicurezza.

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