Home Biaggi non corre ma … parla: “Nessuno dopo di me e Rossi”. Vero o falso?

Biaggi non corre ma … parla: “Nessuno dopo di me e Rossi”. Vero o falso?

Non corre a Imola Max Biaggi ma parla. Arguto, graffiante, mai banale, il “corsaro” non si tira indietro sui vari nodi della Wsbk e della MotoGP, sui limiti e le prospettive delle due massime espressioni del motociclismo agonistico, sui suoi protagonisti, a cominciare dai piloti. Max è pessimista sul futuro dei piloti italiani: “Non vedo


Non corre a Imola Max Biaggi ma parla. Arguto, graffiante, mai banale, il “corsaro” non si tira indietro sui vari nodi della Wsbk e della MotoGP, sui limiti e le prospettive delle due massime espressioni del motociclismo agonistico, sui suoi protagonisti, a cominciare dai piloti.

Max è pessimista sul futuro dei piloti italiani: “Non vedo nessuno in grado di fare la differenza”. Quindi, dopo Rossi e Biaggi il deserto? Se si guarda la classifica di ogni gara e del campionato della 125, per decenni base di lancio per le categorie superiori, non c’è dubbio che siamo all’anno zero. Oggi nel motomondiale c’è un “buco”, che non è colmato da qualche sprazzo dei nostri in Moto 2.

Biaggi non crede nei “vivai” e ha ragione perché il motociclismo, complesso perché c’è il mezzo meccanico, la Casa costruttrice della moto e il Team che gestisce, resta sport individuale dove il pilota è il baricentro del tutto ed è il suo talento a fare la differenza. I problemi del motociclismo sono molti, uno in particolare riguarda il “come” vengono individuati i campioni. La differenza dal passato è enorme.

Prendiamo l’Italia, da sempre una grande realtà del motociclismo internazionale. Per decenni le Case italiane “seminavano” direttamente partecipando alle gare di gran fondo (Giro d’Italia, Milano-Taranto) e ai campionati juniores. Da quelle corse sono usciti i grandi campioni italiani vincitori poi dei mondiali. Giacomo Agostini corre (e vince) in seconda categoria con la Morini 175 Settebelo e il Comm. Alfonso lo lancia da juniores nell’agone mondiale al GP di Monza (1963) con la 250 bialbero, dopo pochi giri di prova.

La differenza? I criteri: classe, voglia di vincere, possibilmente senza cadere, senza rompere il motore. Allora le Case sceglievano il giovane pilota che dimostrava talento. Tutto il resto non contava. Oggi i Team (poche le eccezioni e solo ai massimi livelli) affidano le loro moto al pilota con la … valigia, quello che paga. Con questa logica Agostini sarebbe oggi diventato “Ago”? Le regole del marketing hanno un valore di cui tenere conto, ma se a quelle regole tutto si sacrifica, non ci si può lamentare se Rossi e Biaggi non avranno eredi degni di loro.

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