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MotoGP, se ad Assen Petrucci avesse battuto Rossi?

Il “secondo” è il primo dei perdenti anche quando giunge dietro a Rossi per 63 millesimi

Con i se non si fa la storia, neppure quella del motociclismo, sport complesso e rischioso dove alla fin fine contano i risultati e vince chi taglia per primo il traguardo.

Il secondo? E’ il primo dei perdenti, sentenziava Enzo Ferrari. Anche quando il pilota è battuto per 63 millesimi (!) e da uno come il 9 volte campione del Mondo Valentino Rossi che con questo ennesimo trionfo, oltre a riaprire la corsa al “suo” titolo numero 10, riaccende i riflettori su un Motomondiale incandescente.

Già. La vittoria di Rossi dopo un digiuno di più di un anno ha riportato il motociclismo in apertura su tutti i media (compresi i tiggì) – e non solo in Italia – a dimostrazione di quanto brilli ancora la stella Vale pilota-star e di come questo motociclismo show-business regga sui destini di questo grande pilota-personaggio, un valore aggiunto per lo straordinario impatto mediatico che – mai dimenticarlo – regge perché vincente.

Bene così, non solo perché Rossi, autore di una corsa magistrale, ha strameritato questo acclamato ritorno sul gradino più alto del podio, ma perché – appunto – il Rossi “resuscitato” fa miracoli, è una manna per il motomondiale e per tutto il motociclismo, pago – chi più chi meno – di vivere anche di luce riflessa.

E veniamo ai “se”. Cosa sarebbe accaduto se Rossi fosse stato bruciato in volata da Petrucci? Che la notizia sarebbe finita nelle pagine interne dei giornali, oscurata dalle tv, due parole sulla mancata vittoria del pesarese e solo un breve cenno sull’asso ternano, pilota fin troppo umile e taciturno, un gran lavoratore del manubrio, vincitore senza corona. Piaccia o no, questa è la realtà.

Il motivo è che a far notizia è Rossi non il motomondiale in quanto tale. E poco conta che anche Petrucci sia un pilota italiano, per di più in sella alla Ducati. Conta invece che Petrux, al di là dei suoi meriti (non pochi) è un pilota che – in una scala di valori incentrata sullo show – “non fa notizia”, considerato – se non un signor nessuno – tutt’al più un outsider, agli onori della cronaca stavolta, non perché eccellente secondo ma perché “solo” secondo dietro a Rossi-star, tornato primo. Tutto qui? Tutto qui.

Che Petrucci abbia favorito il trionfo del pesarese non sparando l’ultimo colpo nel rusch finale è una stupidaggine non solo perché ogni pilota scende in pista per vincere ma perché è il cronometro a dimostrare (specie nel decisivo ultimo giro) quanto Petrux ce l’abbia messa tutta e ci abbia provato. Per il ternano resta l’amaro in bocca di un trionfo mancato che l’avrebbe proiettato nella storia ma anche la spinta per riprovarci, a cominciare dal prossimo round del Sachsenring.

Chi è Petrucci, per lo più sconosciuto al grande pubblico? Fra Petrucci e Rossi ci sono oltre 10 anni di differenza d’età e soprattutto una bilancia che pende tutta dalla parte del Dottore, con un palmares che non teme confronti.

Il pilota ternano, per gli appassionati, è quello delle corse Stock (o Superstock) – un vincente in questa categoria da baionetta delle derivate di serie – un protagonista anche del Civ tricolore in Sbk ma solo un comprimario in MotoGP quando entra nel 2012 con una Ioda (o Ioda-Suter). Una, due, tre stagioni con scarsi, scarsissimi risultati fino all’ingresso – 2015 – nel Team Pramac (al posto di Iannone promosso nella squadra ufficiale di Borgo Panigale). Il primo podio al GP d’Inghilterra, anche allora secondo dietro a Valentino e nella top ten a fine campionato, 14° in quello successivo del 2016 anche a causa del forfait in quattro round, per infortuni. Quest’anno, stesso Team ma sulla Desmosedici “ufficiale”, sale sul terzo gradino del podio al Mugello e sul secondo ad Assen.

Sì, il Petrux adesso ha il diritto-dovere di riprovarci, trasformando i suoi recentissimi exploit, da podi in una prima sonante vittoria: va forte anche sull’asciutto e non solo in condizioni di pista particolari (il secondo posto a Silverstone 2015 fu un po’ casuale…), ha il senso tattico della corsa, non ha timori reverenziali. E, insomma, pronto per il colpaccio.

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