Arturo Magni, 75 titoli mondiali. il ricordo del mitico “capo” della MV Agusta
Il 2 dicembre 2015 la scomparsa di un emblema del motociclismo
Il 2 dicembre 2015 ci lasciava all’età di 90 anni splendidamente portati, Arturo Magni, una persona “perbene” e di grande umanità, sempre affabile e con un sorriso per tutti, personaggio straordinario sul piano professionale per qualità, dedizione, esperienza, fulgido emblema del motociclismo italiano di cui andare orgogliosi.
Uno come Arturo Magni non muore mai essendo imperituro quello che ha costruito in vita e che ha lasciato nel firmamento del motociclismo dando prestigio allo sport italiano nel mondo e valore alla dedizione e alla professionalità di chi ha contribuito al successo, anche imprenditoriale, del Made in Italy.
Il motociclismo di oggi – così come lo sport e la società tutta – è molto diverso da quello del dopoguerra e dei decenni successivi, diciamo così per almeno un quarto di secolo, fino alla tragedia di Monza del 1973 quando si chiude l’epopea del motociclismo de: “I giorni del coraggio” successivo a quello dei “pionieri” d’anteguerra e anticipatore dell’odierno motociclismo show-business.
Magni è stato un personaggio assurto nel novero dei “miti”, per decenni il “comandante in campo” della Mv Agusta nelle corse, la longa manus nonché uomo di fiducia del Conte Domenico Agusta. Magni, in poche parole, è sempre stato il “capo” del reparto corse della MV Agusta, considerata la Ferrari delle due ruote.
Dicevamo sopra di un motociclismo oggi assai diverso dal passato. C’è oggi un ruolo paragonabile a quello di Magni in Mv Agusta? No. Forse il “Team principal”? Il “Team principal” non è il “capo” del Team: è responsabile di (quasi) tutto meno della parte … “tecnica”, è responsabile della formazione e gestione della squadra, la individuazione e la gestione dei piloti, la gestione dei rapporti con le aziende Sponsor, con il promoter delle corse (Dorna nel mondiale), con i media, con le altre squadre ecc. Il “Team principale” non sa niente di motori, di telai, di assetti, tanto meno incide sui progetti tecnici, sugli sviluppi delle moto ecc.
Oggi in una Casa paragonabile alla MV Agusta dell’epoca ci sono strutturazioni articolate con responsabilità e competenze divise in settori con decine e decine – centinaia – di persone impegnate ai vari livelli. Diciamo che all’epoca Magni inglobava su se stesso le competenze e i ruoli che oggi sono investono molte più persone. Meglio o peggio? Ogni situazione è frutto della propria epoca con esigenze diverse.
Un fatto è certo: non è facile – è di fatto impossibile – bissare quel che ha fatto Magni: ventisei anni di trionfi con i piloti che hanno scritto le pagine più significative del motociclismo, 75 titoli mondiali e titoli italiani a iosa, un palmares che nessun’altro può vantare sul piano personale. Magni non era solo il “mago” sul piano tecnico ma aveva il fiuto nell’individuare il pilota vincente da portare in squadra e la capacità di gestire la squadra, specie quando i galletti diventavano due o più di due: Graham, Surtees, Hocking, Hailwood, Ubbiali, Provini, Mendogni, Shephard, Agostini, Read e Bandirola, Venturi, Grassetti, Pagani, Bergamonti, Toracca, Bonera ecc. e le decine di piloti sulle MV nelle categorie “cadette”, trionfatori di centinaia e centinaia di corse.
Come aveva iniziato Magni? La sua passione iniziale era l’aeronautica, riparando da ragazzo, in piena guerra, motori dei nostri caccia e imparando così le finezze tecniche dell’ingegneria, dell’aerodinamica, dei materiali leggeri ecc. Quando nel 1947 la Gilera affida all’ing. aeronautico Pietro Remor la progettazione delle inedite 4 cilindri bianco-rosse Magni va con il suo capo ed entra nel reparto corse di Arcore, seguendo ancora Remor nel 1950 a Cascina Costa, alla MV Agusta, diventandone in breve il number one, fino al ritiro della Casa di Gallarate nel 1976.
In un certo senso, Magni può anche essere un degno rappresentante dell’italiano che nel dopoguerra si rimbocca le maniche, sacrificando il meglio di sè all’impegno professionale, per una sfida nelle corse, simbolo della sfida – non solo sportiva – di un intero Paese. Nel reparto corse-bunker della brughiera varesina di Cascina Costa, Magni non era solo ufficialmente il “capo”, era sui circuiti di tutto il mondo il traduttore in vittorie della passione per le corse del conte Domenico Agusta, gran capitano d’industria aeronautica che aveva solo un obiettivo: il trionfo delle sue moto non accontentandosi neppure del gradino più alto del podio, ma – spesso – chiedendo alla sua squadra di fare l’en plain, primo secondo terzo.
Ribadiamo quanto già scritto su Motoblog: “Magni è espressione dell’italiano che si butta in silenzio nella ricostruzione del dopoguerra: spirito di sacrificio, un passo dopo l’altro, la ricerca del miglioramento costante, passione, volontà di capire, mai mollare, poche parole, sorrisi parchi anche nel trionfo, rispettando gli altri, per primo gli avversari. Per Magni i “suoi” piloti erano tutti uguali, sotto ogni profilo, ma il “suo” pilota è stato Giacomo Agostini, l’unico coccolato, l’unico che meritava una lacrimina di gioia anche da parte dell’impassibile Arturo. In un mondo difficile e astioso come quello delle corse, Arturo Magni è stato una delle pochissime persone rispettate da tutti. Domenico Agusta, così come Enzo Ferrari, era personaggio geniale ma non facile e pretendeva da Magni – così come il Drake dall’Ing Mauro Forghieri – l’impossibile. Arturo, semplicemente, l’accontentava. Un modo come un altro per appagare il “Signor Conte” e per regalare al motociclismo mondiale il meglio di se stesso. Un sogno irripetibile. Grazie, Arturo.