Vintage e special: una chiacchierata con Mr Martini
Alla presentazione della Kawasaki Vulcan 70 by Mr Martini, abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con il suo creatore Nicola Martini, uno dei più talentuosi customizer del panorama italiano ed europeo. Ecco cosa ci ha raccontato.
Lo abbiamo incontrato a Verona, nella splendida cornice del suo nuovo locale Special Cafè dedicato al mondo delle special e della personalizzazione: è Mr Martini, al secolo Nicola, uno dei più celebri e quotati customizer italiani con cui abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere dopo la presentazione della Kawasaki Vulcan 70, da lui realizzata in collaborazione con Kawasaki Italia.
Ex concessionario Triumph, Nicola ha già realizzato molte special apprezzate in tutta Europa, compresi alcuni esemplari di Ducati Scrambler in collaborazione con la casa di Borgo Panigale e alcuni modelli che compariranno addirittura in un videogioco per Play Station dedicato alle cafè racer.
Iniziamo con un paio di domande sulla moda delle moto retrò. Voi preparatori ne siete “responsabili” oppure avete trovato pane per i vostri denti in una passione per il vintage che c’era già nei motociclisti?
Diciamo che secondo me c’è bisogno di riprendere un’essenzialità, una semplicità, che erano tipici delle moto di 4-5 decenni fa… molti che quel periodo non l’hanno potuto vivere, o che in quegli anni non potevano permettersi certe cose, ora cercano di averle. Si sente il bisogno di richiami a quel passato a cui guardiamo con nostalgia, di qualcosa che evochi cosa rappresentava la moto in quegli anni. Poi come ho detto, secondo me è cambiata anche la visione che il pubblico ha della motocicletta: in un mondo così complesso, così tecnologico ed esasperato, si riscopre la voglia di qualcosa di più semplice e sobrio, e di conseguenza le forme devono adeguarsi e seguire questa filosofia.
E’ quindi un po’ la risposta ad un mondo motociclistico che va sempre più veloce e che va complicandosi sempre di più, forse in maniera eccessiva.
Sicuramente. Non a tutti interessa vivere la moto come espressione di prestazioni esagerate, o dell’ultima tecnologia disponibile: c’è un mondo di persone che vive la motocicletta in modo diverso, che vede la motocicletta come oggetto di culto e di stile, come l’espressione di un lifestyle che va oltre i decimi sul giro e le saponette limate… in questo caso non si ricerca l’adrenalina, ma l’emozione di possedere e guidare qualcosa di esclusivo ed evocativo, di unico. Inoltre, guidare una modo d’epoca non è certamente da tutti: le moto storiche sono delicate, spesso ormai inadatte ad un uso quotidiano e hanno una componentistica poco consona alle nostre strade: con una moto retrò dotata di tecnologia moderna si riesce ad emulare il carisma delle “nonne” senza rinunciare alla praticità e alla sicurezza dei modelli più recenti.

Com’è nata nella vostra testa l’idea della Vulcan 70? Avete subito pensato a una piccola serie, o eravate partiti con l’idea di costruire una one-off?
Ci siamo incontrati io e Vicarelli di Kawasaki Italia. Lui aveva bisogno di una special, e io gli ho parlato delle mie idee, di ciò che significa anche concretamente costruire una moto speciale. Produrre una bella one-off avrebbe potuto dare a Kawasaki un bel risultato di immagine, di visibilità, ma questo loro l’avevano già fatto più volte, e io lo sapevo. Parliamo di bellissime special, esemplari stupendi…ma che sono rimasti lì, senza seguito, senza che nessuno le potesse comprare anche se lo avesse voluto. Allora a Vicarelli ho detto “Ma perché fare una cosa se poi non gli diamo un senso, non diamo la possibilità di guidarla a chi lo vorrebbe fare?”. Questa mia visione delle cose, questa volontà di dare continuità e concretezza ad una idea, l’ho sicuramente sviluppata dalla mia esperienza come concessionario, che mi ha fatto capire cosa vuole la gente e cosa bisognerebbe dar loro la possibilità di comprare.
Sei contento del risultato?
Si, molto. Io, da piccolo artigiano, ho le mie dinamiche e il mio modus operandi, con relativi costi. Non avrei mai creduto che saremmo riusciti a proporre una cosa del genere con costi tutto sommato contenuti, e invece…! Questa è stata una grande soddisfazione, perché a beneficiarne è il cliente finale. E poi è bellissimo sapere di aver lasciato un piccolo segno nella storia di Kawasaki: per me è stato davvero un sogno.

Un colosso giapponese che si avvale della maestria di un piccolo artigiano italiano: è un bella storia.
Credo si siano rivolti a me perché probabilmente pensavano che io avrei voluto dare continuità al progetto, sanno che a me le moto piace guidarle, non solo costruirle. Avrei potuto provare a farlo come Mr Martini, è vero, ma la presenza ufficiale di Kawasaki Italia ha semplificato enormemente le cose e il loro supporto è stato essenziale. Tra tanti difetti, noi italiani abbiamo una dote indiscutibile: la creatività, la capacità di “dettare le tendenze” e porsi a riferimento dello stile. I giapponesi sono metodici, organizzati, offrono prodotti vicini alla perfezione tecnica: ma noi possiamo dare loro qualcosa che forse non hanno. Una collaborazione simile può soddisfare il cliente a 360°: unire il genio creativo italiano alla perfezione tecnica nipponica.
Quando Mr Martini parte con un progetto, pensa subito a una special da guidare, non solo da guardare.
Io bado molto all’aspetto dinamico, voglio che chi compra una mia moto abbia la possibilità di usarla su strada e trarne piacere: se una moto non si può guidare, rimane un bell’esercizio di stile, di tecnica… ma non è completa, non è godibile appieno. Il bello di costruire moto è che hanno due lati, quello estetico e quello dinamico: bisogna appagare l’occhio ma anche il piacere di guida, altrimenti sarebbe una scultura, ma come motocicletta rimarrebbe un progetto a metà.

Fino a qualche anno fa poche case si dedicavano al segmento vintage: Kawasaki con la W650 e Triumph sono state tra le prime a credere nelle moto retrò, ma per molto tempo sono rimasti casi isolati e riguardavano moto tranquille e senza pretese velocistiche. Ora questa nicchia di mercato si sta evolvendo e ramificando: quale futuro per il vintage e le preparazioni in tal senso? E’ una moda passeggera o una tendenza destinata a perdurare?
A mio parere sarà uno stile, una tipologia, destinata a perdurare: abbiamo avuto la moda delle custom, quella delle supersportive, quella delle naked, le enduro e via dicendo, che sono diventati segmenti di mercato consolidati. Così sarà per le moto classiche: tra alti e bassi, le moto che si ispirano al passato rimarranno in listino per lungo tempo. Cambieranno, si evolveranno, ma l’idea della moto che richiama i giorni gloriosi del motociclismo è vincente e non scomparirà.
Cioè, come vedi le neo-vintage di domani? Il riferimento rimarranno sempre gli anni ’60-’70?
Chi tra qualche anno avrà qualche capello bianco, magari sognerà le moto che voleva da giovane, negli anni ’80 e ’90, e quindi nasceranno le classiche supersportive: è un’ipotesi che mi sembra plausibile! E’ un mondo in evoluzione: gli anni ’60-’70 rimarranno un grande riferimento stilistico, ma magari se ne aggiungeranno degli altri, ci si ispirerà anche a epoche più recenti. Penso, ad esempio, alle special “replica” delle moto da endurance degli anni ’80, che già si cominciano a vedere, o magari alle stesse enduro.
Finchè c’erano i carburatori, i motori raffreddati ad aria e non c’erano troppi cavi in giro, per voi preparatori era sicuramente meglio: ora però non è più così e le moto sono diventate molto più complesse. Quanto influisce sul vostro lavoro e sul fascino del prodotto finale la necessità di adeguarsi alle tecnologie moderne?
Beh, sicuramente per noi era tutto molto più semplice, questo è indubbio, ma potrebbe anche essere una bella sfida: il vero problema è invece l’innalzamento consequenziale dei costi. Il lavoro necessario è ovviamente molto maggiore, e questo influisce inevitabilmente sul prezzo finale… e si perde un po’ il senso della personalizzazione come la si intendeva anni fa.
Com’è che un concessionario diventa preparatore? Cos’ha fatto scoccare la scintilla che ti ha portato a diventare customizzatore?
Io sono sempre stato appassionato di moto particolari: ero concessionario Triumph perché all’epoca il marchio inglese era qualcosa che si distingueva dalla massa. Ho deciso di smettere di lavorare con loro quando hanno iniziato ad essere un brand come gli altri: questo ovviamente ha portato anche vantaggi a Triumph, certo, ma io non mi ci identificavo più come un tempo. Poi ciò che è venuto dopo è sintetizzabile così: volevo le mie moto, nel senso di farle come piacevano a me. Così ho imboccato definitivamente la strada che mi ha portato qui, che però non era una novità assoluta…

Passa il cameriere di Special Cafè, ci chiede se vogliamo bere ancora qualcosa e Nicola ordina: “Un succo alla mia maniera”. Le cose standard, omologate, non gli piacciono proprio.
Le prime moto su cui hai messo la mani sopra da preparatore? Immagino siano state le Triumph.
No! Ho cominciato all’inizio degli anni ’80 a vendere le Royal Enfield: erano moto così, particolari e un po’ atipiche. Ho iniziato a mettere le mani su quelle, anche perché erano semplici e basilari e questo si sposava bene col fatto che non avessi da parte troppi capitali (ride). Ho fatto quindi i miei due-tre anni di gavetta, le Enfield si personalizzavano tutte all’epoca: chi la faceva scrambler, chi cafè racer… i numeri erano piccolissimi ma si riuscivano a fare un sacco di cose. Poi, con l’approdo in Triumph di Carlo Talamo, che la personalizzazione ce l’aveva nel DNA, è stata la svolta. Carlo vedeva 10 anni avanti e rivoluzionò letteralmente sia il marchio Triumph sia l’approccio alla customizzazione: è stata una grande scuola per me. E poi guarda, il primo anno da concessionario ho venduto 6 moto nuove in tutto l’anno: di tempo per mettere le mani sulle moto ne avevo quanto volevo!
Cosa guida Mr Martini nella vita di tutti i giorni?
Beh ovviamente adesso guido Kawasaki! (Ride) Vista la mia attività, ho la fortuna di poterne guidare molte: mi piace molto usare la nuova Ducati Scrambler, ma anche la BMW NineT. Una volta avevo molte moto, era la mia piccola collezione… poi per dare vita a questo progetto, a cui credevo molto (il suo nuovo locale Special Cafè, ndr) le ho vendute. Mi piace molto guidare anche la Triumph Scrambler e la mia Super Cooper, una Triumph Adventurer profonda modificata, ma è una moto un po’ particolare e non è proprio adatta all’uso quotidiano… non faccio una marchetta quando dico che con questa nuova Vulcan 70 mi trovo molto bene: è semplice, intuitiva, riesce anche ad essere divertente se non si hanno grandi pretese… mi piace molto. In ogni caso, è bello guidare qualcosa che ti sei costruito da solo: quindi sicuramente una Mr Martini!

C’è una moto in particolare che vorresti possedere, o che magari avresti voluto costruire tu?
Non saprei…di certo, mi piacerebbe molto rivedere il marchio Norton tornare ai fasti di un tempo. Le loro nuove moto sono molto belle e mi piacerebbe provarle.
Come ti è venuta l’idea di dare vita al progetto che ha portato alla realizzazione di Special Cafè?
Dopo 21 anni da concessionario, mi ero un po’ stufato. Ho deciso di provare a imboccare questa strada ed ora eccomi qui, grazie al supporto di molte aziende che hanno creduto in quello che stavo facendo. Ducati, BMW, Metzeler, ma anche Dainese e HTC, un’azienda che produce abbigliamento ispirato al mondo delle moto, hanno apprezzato l’idea di poter essere rappresentate nel mio locale-showroom che trae ispirazione dall’universo della personalizzazione e delle moto di un tempo: per loro è una sorta di vetrina, un modo un po’ originale di farsi pubblicità. Anche aziende del territorio collaborano con noi, come Avanguardia, che produce mobilio utilizzando pallet e Pakelo, produttore veneto di lubrificanti che è partner del nostro progetto. I ragazzi di Vibrazioni Art Design hanno usato dei bidoni di olio Pakelo per costruire parte dell’arredamento, che è inusuale… abbiamo cercato di proporre qualcosa di non convenzionale.

Se aziende così importanti hanno creduto in te, significa che stavi andando nella direzione giusta.
Ma non è solo merito mio: ho uno staff che mi ha sempre supportato, anche prima che le cose prendessero la piega positiva che hanno preso ora. Avere un team è fondamentale: un buon lavoro è raramente frutto di una persona sola, e dei collaboratori validi sono necessari. Fabio, Jenny, Claudio… senza di loro questo non sarebbe stato possibile.
Ti consideri una guida, più che un capo.
Mi paragonerei all’allenatore di una squadra. Cerco di fare in modo che la squadra lavori bene, coesa, e riesca a portare a casa il risultato.
Beh, direi che lo avete portato a casa, anche con Special Cafè.
La cosa che mi ha fatto capire che abbiamo fatto centro non è stato tanto il riscontro economico, che comunque ovviamente è importante per mandare avanti la baracca. E’ stato soprattutto vedere chi frequenta questo posto: dal motociclista borchiato con la Harley allo smanettone con qualche capello bianco su una vecchia sportiva anni ’90, dall’avvocato tirato all’operaio che uscito dal lavoro passa a bere una birra. Tutti qui sono allo stesso piano, e nessuno si sente fuori luogo: questa è sicuramente la più grande soddisfazione della mia nuova attività. Sicuramente la moto accomuna le persone e appiana le differenze, ma offrire alla gente anche lo spazio per poter vivere la propria passione al dì là delle divisioni sociali è l’idea principale che mi ha guidato fino qui. Ho voluto creare un luogo per tutti gli appassionati.
Magari con i ricavi della Vulcan 70 riuscirai a andare anche oltre quello che hai realizzato sino ad ora.
Ne io nè Kawasaki ci guadagnamo poi molto, purtroppo (ride) Il vero stimolo è la voglia di lasciare un segno, di fare qualcosa che rimanga impresso nella mente della gente, al di là del nome che c’è sopra. A me non interessa che la gente compri una moto perchè è fatta da Mr Martini, a me interessa che chi apprezza le mie moto lo faccia perchè le trova belle, non perchè le ho fatte io che in questo mondo mi sono fatto ormai un nome. Tu compreresti una moto solo perchè c’è una firma sopra, solo perchè è fatta da Mr Martini, un customizer famoso? Io no. Quando vedo qualcuno che dice “Che bella questa!” senza sapere che l’ho costruita io, allora sì che mi sento davvero orgoglioso di ciò che ho realizzato.
