Amarcord: Yamaha XJ650 Turbo
Poco fortunata, la Yamaha XJ650 Turbo del 1982 fu la seconda moto giapponese in ordine di tempo con motore turbocompresso. 653 cc, turbina Mitsubishi e 90 cavalli di potenza.
Dopo la Honda CX500 Turbo siete stati in tanti a chiederci di approfondire l’epoca delle moto con turbocompressore. Per questo motivo la rubrica Amarcord oggi, e per le prossime due uscite, come sempre di mercoledì, si occuperà della quattro moto giapponesi turbocompresse prodotte nei primi anni Ottanta.
Per ordine cronologico partiamo quindi dalla Yamaha XJ650 Turbo, conosciuta sui mercati americani anche con il nome di Seca Turbo. Così come la Honda CX500 Turbo derivava dalla CX 500 del 1978, anche la Casa di Iwata decise di produrre la sua Turbo partendo da un modello già esistente: la XJ650 (Seca in USA) del 1980.
Nel 1981 quindi Yamaha, seconda tra i quattro colossi giapponesi a presentare una moto Turbo (se si esclude l’esperimento Kawasaki Z1RTC del 1978 realizzata dalla Turbo Cycle Corporation, della quale ci occuperemo a breve insieme alla GpZ Turbo), al Tokyo Motor Show mostrò al pubblico la versione definitive della sua XJ650 Turbo, che come accennato sul mercato nordamericano mantenne il nome Seca presente anche sulla versione aspirata.
Il motore era un quadricilindrico raffreddato ad aria con distribuzione DOHC a due valvole per cilindro da 653 cc, con alesaggio di 63 mm e corsa di 52,4 mm, caratteristiche comuni anche alla XJ650 aspirata. Dove differiva la Turbo era nell’alimentazione, ottenuta da 4 carburatori a depressione Mikuni CV da 30 mm, mentre la XJ650 aveva 4 carburatori Hitachi da 32 mm. Ovviamente la differenza più sostanziale era nella turbina Mitsubishi, che portava la potenza da 71 CV erogati a 9400 giri fino ai 90 CV a 9.000 giri, mentre la coppia saliva da 5,5 kgm a 7.500 giri fino a 8,33 kgm a 7.000 giri.
Nonostante l’utilizzo del turbocompressore, il resto della meccanica era molto semplice: distribuzione a due valvole per cilindro, alimentazione a carburatori e raffreddamento ad aria. Sulla carta la Turbo forniva un’erogazione migliore, peccato che non fosse esattamente così, viste le reazioni del turbocompressore. Il rapporto di compressione invece scendeva dai 9,2:1 agli 8,2:1, un accorgimento adottato anche dalla Honda sulla sua CX500 Turbo per evitare eccessivi stress meccanici.
Come sulla Honda, anche sulla Yamaha XJ650 Turbo la trasmissione finale era ad albero cardanico e il cambio a 5 rapporti. A differenza del motore montato sulla Honda CX però, quello della Yamaha aspirava attraverso i quattro carburatori ma espelleva i gas di scarico della combustione attraverso uno solo dei due terminali, l’altro serviva per espellere i gas dell’overboost provenienti dalla turbina.
La ciclistica si componeva invece di una forcella Showa da 36 mm con 140 mm di escursione e due ammortizzatori posteriori sempre Showa con 79 mm di escursione, regolabili in estensione su quattro posizioni. Entrambe le sospensioni, rispetto a quelle della XJ, disponevano di valvole per l’aria, una soluzione piuttosto in voga in quel periodo e fino alla fine degli anni Ottanta. La frenata era affidata a due dischi da 266 mm davanti mentre dietro agiva un tamburo da 200 mm.
I cerchi erano da 19 e 18 pollici e montavano stretti pneumatici 3.25-19 e 120/90 V18. Infine il peso a secco era di 235 kg e la capacità del serbatoio di 19,5 litri che, con un consumo medio di 18 km/litro, garantiva un’autonomia da granturismo di 350 km. Le prestazioni erano di tutto rispetto per l’epoca, pari a quelle di una 750, visto che la Yamaha “turbata” percorreva i 400 metri in 12,7 secondi, uscendo a una velocità di quasi 170 km/h, mentre quella massima era di poco inferiore ai 210 km/h.
Confrontando però i tempi di accelerazione sul quarto di miglio con quelli della XJ650, che pesava 30 kg in meno, si nota come i valori siano pressoché identici. I pregi del Turbo si notano infatti maggiormente nella ripresa agli alti regimi e al raggiungimento della massima velocità, dove il gap con la versione aspirata si fa più evidente. Come per la Honda, anche se in maniera minore, il grosso difetto della Yamaha era però il pronunciato turbo lag.
L’anno seguente la XJ entrò in produzione. Certo l’estetica lasciò molti sconcertati, ma la Yamaha XJ 650 Seca Turbo proponeva nuovi standard aerodinamici, almeno in apparenza. La linea era infatti il risultato di una serie di test nella galleria del vento e derivò molto dalle conoscenze e dalla tecnologia Yamaha nel mondo dei motori marini.
Era dotata di una carenatura completa dal profilo spigoloso, che si apriva anteriormente a livello del motore per il raffreddamento. Il serbatoio e i fianchetti si univano senza soluzione di continuità con il gruppo sella-codone. Il look era senza dubbio futuristico ma definirla bella è un’altra cosa… Oltretutto, difetto comune alla Honda, il look era troppo turistico rispetto all’appeal e alle prestazioni che quella scritta Turbo prometteva.
La Yamaha ebbe comunque vita breve, al pari delle sue concorrenti turbocompresse. Il 1983 fu infatti l’ultimo anno in cui venne commercializzata, presto sostituita dalla XJ900 (e poi dalla serie FJ) che, con una cilindrata di 853 cc e quasi 100 CV di potenza superava anche in velocità e accelerazione la sorellina “turbata”. La Yamaha Turbo uscì dunque presto dai listini, non prima di aver fatto una fugace apparizione nel film di James Bond Mai dire Mai, del 1983. In totale ne furono costruite circa 8.000.