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Motomondiale. Yamaha “aka-tombo”: 58 anni di trionfi

Sono trascorsi 64 anni dall’ingresso nelle corse della Yamaha quando nel luglio 1955 vinse la cronoscalata del Monte Fuji con una “spartana” 125 due tempi monocilindrica ispirata alla ben più raffinata tedesca DKW RT.

Se nel 2019 Honda festeggia i suoi 60 anni di presenza nel Motomondiale non è da meno la Yamaha attiva nella giostra iridata da 58 anni, con il debutto nel 1961. Le due grandi Case del Sol Levante sono attese protagoniste anche della MotoGP 2019: Honda con Marc Marquez e Jorge Lorenzo e Yamaha con Valentino Rossi e Maverick Vinales.

Sono trascorsi, invece, 64 anni dall’ingresso nelle corse della Yamaha quando nel luglio 1955 vinse la cronoscalata del Monte Fuji con una “spartana” 125 due tempi monocilindrica ispirata alla ben più raffinata tedesca DKW RT.

La casa dei tre diapason dimostrava così, dai suoi primi passi come fabbrica di moto, di credere nelle corse: un impegno poi costante e di altissimo livello in tutte le cilindrate, con moto all’altezza dei tempi, con le mitiche livree prima rosso-arancione (erano così gli aerei militari) e poi bianco-rosse (aka-tombo, libellula rossa), fino all’avvento dei colori imposti, come è oggi, dagli sponsor.

Motomondiale. Yamaha “aka-tombo”: 58 anni di trionfi

Come noto, fu la connazionale-rivale Honda a fare da apripista per il gran salto nel Continente europeo – debutto al TT inglese nel 1959 con la bicilindrica 125 4 t. affidate a Taniguki, G. Suzuki, Tanaka e A. Suzuki rispettivamente settimo, settimo, ottavo, undicesimo, gara vinta da Tarquinio Provini (MV Agusta) davanti a Luigi Taveri (MZ) e a Mike Hailwood (Ducati) – e così anche la Yamaha prova poco dopo a misurarsi con i bolidi dell’industria europea esordendo con la RD 48 2 cilindri 2 t. nella 250 il 21 maggio 1961 al GP di Francia di Clermont-Ferrand con il funambolico “duro” e ingrugnito Fumio Ito e l’acerbo dal sorriso facile Tanahara Noguchi.

Erano gli anni in cui le moto Grand Prix inglesi e tedesche (MZ a parte) accusavano il peso degli anni ma le Case italiane, pur con il grave forfait del 1957 di Guzzi, Gilera, Mondial, erano ancora molto competitive quando non ai vertici assoluti con MV Agusta, Morini, Benelli, Ducati, Bianchi, Aermacchi ecc. Tant’è che nel mondiale 1963 la Morini perde per un soffio con Provini il titolo delle 250 proprio nell’ultima gara in Giappone e la MV domina ancora la 500. In Italia non mancavano moto ma una strategia d’attacco (industriale e politica) capace di contrastare la marea gialla in forte espansione.

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Così dopo i successi Honda, nel 1964, giunge l’exploit trionfale della Yamaha, con il suo primo titolo iridato della 250 del fuoriclasse inglese Phil Read affiancato dal tenace canadese Mike Duff. La mitica filante 250 RD56, semplice quanto efficace, con un sibilante e fumoso bicilindrico 2 t. raffreddato ad aria – già in ginocchio le bicilindriche 4 t. della MV Agusta – è contrastata a più riprese dalla monocilindrica Morini 4 t. (prima Provini, poi Agostini e Grassetti), e dalla Benelli (prima Grassetti con la bialbero monocilindrica 4 t. e la inedita 4 cilindri, poi Provini con la rinnovata 4 cilindri pesarese, in seguito Pasolini e Carruthers finalmente iridato nel ‘69), lotta soprattutto con le Honda 2 e 4 cilindri 4 t. e anche con le aggressive MZ tedesche dell’Est bic. 2 t.

Mentre in Europa e in Italia le fabbriche di moto tiravano la cinta – quando non le cuoia – con un mercato in crisi per l’avvento dell’auto e per …. mancanza di idee, le Case del Sol Levante producevano a fine 1963 quasi due milioni di moto, cercando subito lo sbocco dei mercati internazionali, in Europa e Usa. Da lì la scelta convinta delle corse quale veicolo promozionale in quanto la moto da competizione crea identità, accende il cuore della gente e costituisce l’iceberg delle qualità del prodotto di serie.

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Copiando la precedente strategia commerciale e (anche) la tecnica delle moto degli italiani, governo e industria del Sol Levante puntano sulle corse (motomondiale in primis) con ingenti investimenti e indubbie capacità, dominando via via nello sport e nei mercati. Il ko dell’industria italiana ed europea tocca il culmine proprio nel 1964, la prima stagione del primo titolo mondiale della Yamaha nella cilindrata all’epoca di maggior prestigio.

Honda, Yamaha, Suzuki in quei primi anni scelgono piloti non italiani perché l’Italia delle moto resisteva ancora di fronte al boom dell’invasione gialla. La Yamaha fa davvero un salto da gigante: solo una vittoria nel 1963 e poi il titolo nel ’64 con quella storica quarto di litro bicilindrica 2 t. a dischi rotanti, raffreddamento ad aria, 105 kg di peso totale, dal rombo stridulo e con una cavalleria all’epoca stupefacente vicina ai 50 HP oltre i 12.000 giri, delicata per le bizze della carburazione, scorbutica ai bassi regimi, ma imprendibile per le sue brucianti accelerazioni e per i suoi oltre 240 Kmh.

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Delle italiane resistettero solo Morini e Benelli, la Honda corse ai ripari prima con la 4 e infine con la poderosa 6 cilindri di Hailwood, Redman, Graham, Bryans. La Casa dei tre diapason risponderà ancora con la strabiliante 4 cilindri 2 t a dischi rotanti (anche nella 125), tornando poi alle 250-350 bicilindriche di nuova generazione.

Quindi il gran salto nella massima cilindrata con le 4 cilindri, prima due tempi, poi le 4 tempi nell’era MotoGP. Ma quella è un’altra storia: il solco fu tracciato nel 1964 con quella formidabile 250 (diventerà, sempre rinnovata, la moto per antonomasia di quasi tutti i partecipanti al motomondiale 250 e 350) che lanciò il “duro” baronetto Phil Read e anche il “fantino” Bill Ivy nel firmamento mondiale.

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Yamaha passa così dalle note melodiose dei suoi pianoforti a quelle sibilanti dei suoi bolidi biancorossi. In seguito, dal 1965 in poi, arriveranno, a pioggia, i titoli mondiali con Read, Ivy (1967-1968), Kent Andersson (1973-1974), l’era straordinaria e tragicamente interrotta della meteora Jarno Saarinen, grande fra i grandi.

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Quindi i titoli nella 500, il primo italiano su una moto giapponese, la Yamaha, con l’iride nella classe regina nel 1975 con Giacomo Agostini, poi Kenny Roberts (1978-79-80), Eddie Lawson (1984, 86, 88), Wayne Rainey (1990, 91, 92). In seguito, 2001, a Biaggi sfugge il titolo andato a Rossi (Honda), passato in Yamaha dal 2004 al 2009.

Su su in una girandola dove Yamaha è sempre ai vertici, fino al 2008, quando Rossi porta a 37 i titoli mondiali costruttori della Casa dei tre diapason, che fa il sorpasso storico sulla MV Agusta. Il resto è cronaca e tutti la conoscono, fino ai nuovi trionfi in MotoGP di Rossi, di Lorenzo, l’ultimo aver vinto il titolo della classe regina su Yamaha. I più grandi piloti hanno corso con Yamaha, meno due: Mike Hailwood e Casey Stoner. Pensando a Marc Marquez…

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