Home Auguri, Freddie! quando la “meteora” si fa mito

Auguri, Freddie! quando la “meteora” si fa mito

Ci sono vari modi per valutare un campione. C’è chi mette sulla bilancia i titoli mondiali vinti e chi invece pensa che il fuoriclasse si vede e lascia il segno magari anche per una sola stagione straordinaria, addirittura per una sola gara da extraterrestre.

Oggi Freddie Spencer compie 57 anni essendo nato il 20 dicembre 1961 a Shreveport in Lousiana e lo ricordiamo perché è stato tra i più grandi campioni del motociclismo mondiale, per talento da inserire nella top ten di tutti i tempi. Proprio la settimana scorsa Freddie (in verità si chiama Federick) è stato insignito del prestigioso “Monaco World Sports Legends”, l’Oscar dei super assi dello sport mondiale.

Spencer ha vinto tanto, anzi ha vinto “tutto” ma viene considerato una “meteora” perché la sua stella si è spenta veloce così come si era accesa lasciandosi dietro interrogativi senza risposte.

Ed ecco il mito. Per talento, classe, irruenza, tecnica, Spencer ci ricorda campioni di eccelsa levatura, ma fugaci meteore, quali Gary Hocking, Jarno Saarinen, John Kocinski, Casey Stoner. Piloti che hanno sempre gettato il cuore oltre l’ostacolo, in pista e fuori, sfidando, oltre agli avversari in corsa, il perbenismo, il luogo comune, lo status quo anche fuori dai circuiti, persino il fato.

Oggi solo Marc Marquez il “bionico” – almeno in pista – può essere paragonato a Spencer. Quel Marc Marquez che cinque anni fa sottrasse proprio a Spencer il record di precocità per la prima vittoria e la prima pole nella classe regina del mondiale. L’asso spagnolo subentrò all’asso americano quale più giovane pilota nella storia della classe regina a vincere una corsa mondiale (GP delle Americhe secondo round iridato 2013) e a conquistare la prima pole position.

Auguri, Freddie! quando la “meteora” si fa mito

Quel record di Freddie (Spa 1982) aveva resistito per ben 31 anni! Altro record (imbattuto): Spencer è stato l’ultimo pilota (1985) a gareggiare e a vincere in due classi nella stessa stagione conquistando spavaldamente il titolo iridato della 250 e della 500. Non solamente brillano le sue tre stelle iridate e resta inimitabile l’exploit “storico” di aver vinto i titoli della 250 e della 500 nella stessa stagione ma resta impresso, in chi – come chi scrive queste note – l’ha visto più volte all’opera, il suo impetuoso e rivoluzionario stile di guida, di fatto quello stile che oggi – evoluto alla pari dello sviluppo di moto, elettronica, gomme – permette ai piloti della MotoGP di fare i numeri che fanno.

Auguri, Freddie! quando la “meteora” si fa mito

Spencer dimostrò che il cronometro traeva beneficio non girando rotondi come si faceva soprattutto in 250 ma riducendo la strada da percorrere, curvando … “ad angolo”, buttando quasi a terra la moto, raddrizzandola prima possibile e prima possibile aprendo in pieno la manetta (senza l’ausilio dell’elettronica) in anticipo rispetto ai cultori della guida classica. Faceva trattenere a tutti il respiro perché pareva sempre sul punto di cadere, specie in accelerazione e nei traversi sul filo delle lame del guard-rail sui velocissimi curvoni di Spa, Salzburgring, Assen, Imola ecc. E, a dire il vero, cadeva anche. Stiamo parlando dei primissimi anni ’80 quando Freddie, dopo aver dominato i campionati americani AMA e dopo lo sbarco in Europa, ventenne, con i travagli del 1981 sulla rivoluzionaria ma “impossibile” Honda NR 500 quattro cilindri quattro tempi a pistoni ovali (moto che aveva già sfiancato due mastini come Grant e Katayama), sulla inedita NS500 tre cilindri 2 tempi dimostrò di che pasta era fatto: straordinariamente efficace sul giro secco e sul passo, belva nella mischia, implacabile in fuga.

Dopo battaglie memorabili nel 1982 e nel 1983, Spencer (sulla Honda 2 tempi 3 cilindri) il “principe”, viso d’angelo col dente avvelenato, piegò anche Kenny Roberts (Yamaha 2 tempi 4 cilindri), il “marziano” leonino dalla criniera rossiccia di dieci anni più anziano che inchiodava con lo sguardo, l’idolo californiano del dopo Agostini che aprì l’epopea iridata dei grandi corridori Made in Usa. Freddie portò più avanti, esasperandolo, il nuovo stile del ginocchio a terra, della derapata controllata, della piega oltre la fisica.

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Approdò in Europa dagli Usa poco più che ragazzino già con la nomea del “terribile” e del “ribelle solitario”. Muto come Lawson nel box, con l’occhio spiritato sotto il casco come Sheene, una sfinge come Roberts allo start, uno tsunami in corsa, come Saarinen. Un genio gelido, un “castigamatti”. Bruciò avversari e record. Non fece prigionieri. Lucchinelli, “cancellato”, fu una delle sue “vittime”. A fine ’83 lo stesso “King” Kenny alzò bandiera bianca, con l’addio alle corse. L’asticella del motociclismo si alzava. Al pari dei rischi e dei soldi. Così come l’entusiasmo del grande pubblico, ovunque nel mondo.

All’epoca, Yamaha e Suzuki 500 quattro cilindri 2 tempi erano superiori alla Honda 3 cilindri ma il 20enne della Louisiana ci metteva del “suo” riuscendo ad aver la meglio su gente dal calibro di Roberts &C. La stagione clou di “Fast Freddie” è quella del 1985, con – appunto – il bis nella 250 (contro le Kawasaki di Tony Mang ecc.) e nella 500 (contro Eddy Lawson ecc.) e con il … tris in USA trionfatore nella F1, nella Superbike, nella 250! Poi l’inizio della discesa, già nel 1986, per una serie di guai fisici (e stralunamenti psicologici…) dovuti alle cadute: tendinite, fratture al ginocchio, problemi di vista, cefalee ecc. Fu criticato, ingiustamente, da molti e accusato di fare la … “signorina” – per non dir peggio – dimenticandosi delle sue gesta di fuoriclasse e di gran mastino. 

Fu definito “bionico” in senso spregiativo. Il vero guaio di Freddie si chiamava sindrome del tunnel carpale, oggi facilmente individuabile e operabile. Fatto sta che non uscì più dalla crisi neppure quando nel 1989 Agostini tentò il rilancio riportandolo nel Mondiale – ingrassato di oltre 10 chili! – in Yamaha e tanto meno quando tornò in SBK su Honda poi su Ducati Usa, vincendo pure ma non convincendo più. 

Auguri, Freddie! quando la “meteora” si fa mito

C’è chi ha paragonato, sul piano umano o su quello psicologico, Spencer a Stoner e indubbiamente i loro sguardi spesso mesti e il sorriso triste possono confermarlo, così come il loro smisurato talento. Ancor di più il sentirsi entrambi “stretti” in un ambiente che pure aveva portato loro gloria e soldi. E pensare che Freddie, nei primi anni ’80, pareva davvero il number one assoluto, un mangiatutti e un recordman (pole, trionfo con giro veloce ecc.) imbattibile in pista anche per quella temerarietà su moto-rodeo che richiamavano, appunto, Jarno Saarinen dei primi anni ’70, e capace di una concentrazione psico-fisica straordinaria: dopo il traguardo e una battaglia da far rizzare i capelli Freddie appariva come un extraterrestre, lontano, freddo, assente, per nulla affaticato.

Lui stesso aveva fatto correre la nomea del superman e spesso ripeteva che riusciva a riconoscere, da fermo, tutti i passeggeri di un treno in corsa ad alta velocità. Freddie, per fortuna, è vivo e vegeto e spesso gareggia nei revival con le sue splendide 250 e 500 Honda che lo resero celebre. Oggi è un signore corpulento dai capelli grigi, incline a quel sorriso che prima pareva rifiutasse anche sul gradino più alto del podio. Dopo 25 anni, per volere Dorna, torna nel mondiale nel ruolo di presidente della Giuria MotoGP.

Anche all’epoca dei suoi trionfi, Freddie amava l’Italia, amava tutto dell’Italia ed era l’unico pilota americano cui piaceva sentir parlare del passato, dei grandi nostri piloti di prima e delle nostre grandi moto da corsa. A voce bassa, a cena, davanti a una bottiglia di lambrusco cantava due strofe di “Quando passava Nuvolari”. Sono passati 30 anni, più o meno, e pareva allora che il mondo – quello del motociclismo della Classe regina – fosse di proprietà americana con Kenny Roberts, Eddie Lawson, Wayne Gardner, Wayne Rainey, Kevin Schwantz, Fast Freddie. Invece non fu così allora e non è così oggi. Nel motociclismo la ruota gira. Per fortuna.

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