Home Motociclismo jungla: l’addio di Manuel Pagliani, pilota “senza valigia”

Motociclismo jungla: l’addio di Manuel Pagliani, pilota “senza valigia”

Il percorso del corridore è duro. E’ sempre stato duro. Serve passione, costanza, volontà, manico. Il talento è fondamentale ma da solo non basta per fare la differenza ed entrare nel firmamento dei “big”.

Stavolta tocca a Manuel Pagliani, il forte 22enne pilota veneto di Camposampiero, a dire forzatamente addio alle corse. I motivi sono gli stessi che hanno costretto al forfait tanti altri piloti, giovani e meno giovani, cioè questioni economiche. Quindi Pagliani non è il primo ad attaccare il casco al chiodo e non sarà, purtroppo, l’ultimo.

E’ questa la sorte di chi vuole correre perché ha passione e talento per scendere in pista da protagonista, ma non ha la “valigia” richiesta dai Team e quindi chiude con le corse. Ciò rattrista ma non stupisce chi come noi da anni analizza questo motociclismo double-face: da una parte pieno di luminarie e di soldi, dall’altra colmo di incertezze, di portafogli vuoti, di speranze tradite.

Pagliani non è un signor nessuno nel motociclismo con due titoli tricolori nel Civ Moto3 (2014 e 2016), nel Mondiale Moto3 2017 con Mahindra già in declino comunque quattro volte a punti, nel Cev 2018 in lotta per il titolo, due vittorie e l’antipatico forfait proprio all’ultima decisiva gara per… “problemi personali”.

Un bel pilota, un ragazzo d’oro dal tratto e dai modi gentili, non certo inferiore ad altri suoi colleghi impegnati nel Motomondiale della classe cadetta. Forse – se proprio vogliamo cercare un puntino – Manuel dopo il primo titolo del Civ si era non montato ma “illuso” che scattassero automatismi di promozione che invece non si sono verificati.

Se vuoi vedere cammello devi sborsare danaro. Questa era la regola, questa è la regola, questa sarà la regola. Prendere o lasciare. Pagliani lascia. Proprio pochi giorni addietro abbiamo affrontato – nostro malgrado – una storia simile, con protagonista un pilota più “rodato” e da anni sulla scena internazionale, il 34enne Mattia Pasini, anche lui a piedi nel 2019 dopo i mondiali Moto2 (e non solo) nelle stagioni precedenti (15 stagioni ai vertici, 226 gare disputate, 12 vittorie, 30 podi, 19 pole, 6 giri veloci). Scusate se è poco.

La domanda si ripete. Perché? Perché si ripropone il nodo mai sciolto del rapporto corse-soldi e la annosa questione dei piloti “con la valigia”: o porti soldi o stai a piedi. C’è sempre un altro corridore – più bravo o meno bravo di te, – pronto a sostituirti, soldi in mano. l problema sta alla radice di come oggi è strutturato il motociclismo ai vari livelli, in una piramide dove la passione è la “spinta” per iniziare il “gioco” ma dove sono i soldi a reggere il tutto.

Malvolentieri ci ripetiamo: se non hai la valigia, specie ai primi passi, non puoi crescere. Senza passione e senza talento non si sfonda ma oggi senza un bel gruzzolo non si può neppure partecipare alle prime garette in minimoto, figurarsi più su dove servono una moto e una struttura tecnica adeguate al tipo di campionato e alle proprie… ambizioni. Va però detto con altrettanta chiarezza che un Team è una azienda a tutti gli effetti che deve far quadrare i conti, altrimenti è costretta a chiudere bottega. La verità è che i piloti, per correre, hanno sempre pagato di tasca propria, soprattutto agli inizi di carriera: ieri come oggi.

Sono cambiate le esigenze, ad esempio oggi nessun pilota dormirebbe nel paddock dentro una utilitaria con accanto la moto smontata. Sono lieviti i costi, a dismisura. Da sempre i migliori, i piloti vincitori di gare e campionati, sono stati pagati direttamente dalle Case, con pochi extra, soprattutto quando mancava il supporto degli sponsor, giunti debolmente alla fine degli anni ’60- inizi anni ’70, e il motociclismo era privo di valido sostentamento mediatico.

Idem i soldi che, senza talento passione, professionalità, volontà, non garantiscono il successo. Ci ripetiamo: un “brocco”, pur se milionario, resta brocco (quanti ce ne sono stati! quanti ce ne sono!…).

Un fuoriclasse, anche in bolletta, lo si vede presto e presto sfonda. Ma c’è una via di mezzo che permetta a Mattia Pasini, a Manuel Pagliani e ai non pochi come loro di continuare la partita? La risposta non è facile perché oggi il motociclismo è una piramide con una stretta punta vorticosamente ricca e una ampia base “povera”.

Da qui un cuneo di proporzioni gigantesche fa chi fa il “nababbo” e chi “tira la cinghia” per sopravvivere. Insomma, siamo nella jungla. Ripetiamo la domanda: Il motociclismo odierno show-business non rischia di diventare “assurdo” per esasperazione tecnologica, mania di gigantismo, invadenza mediatica, impennata dei costi?

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