Motomondiale: nel 1957 l’addio delle Case italiane fu per le corse un… “coronavirus”

La seconda guerra mondiale bloccò le grandi corse dal 1940 al 1945 ma è la prima volta in assoluto che lo stop alle corse avviene in ogni nazione e continente e per motivi sanitari

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 30 mar 2020
Motomondiale: nel 1957 l’addio delle Case italiane fu per le corse un… “coronavirus”

Anche il motociclismo, come tutto lo sport, è nella morsa dell’emergenza coronavirus con gare rinviate e cancellate e calendari nazionali e internazionali stravolti. A rischio c’è addirittura l’intera stagione 2020. Solo la Seconda guerra mondiale bloccò le grandi corse dal 1940 al 1945 ma è la prima volta in assoluto che lo stop alle corse avviene in ogni nazione e continente e per motivi sanitari. Oggi a rischio c’è la salute e la vita delle persone con un possibile tsunami capace di travolgere l’economia mondiale e di stravolgere la vita quotidiana, ovunque. Non si può paragonare quel che sta accadendo oggi, peraltro una situazione in drammatica evoluzione, con il periodo bellico e post bellico.

Fra le due Guerre mondiali le corse si indirizzarono in grandi campionati: il campionato nazionale (quello “tricolore” era un pre-mondiale) e il campionato d’Europa (disputato fino al 1939 con il trionfo nella 500 dell’indimenticabile pesarese Dorino Serafini sulla Gilera 4 cilindri col compressore) che era l’antesignano del Motomondiale, avviatosi nel 1949.Dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale, per nove stagioni – dal 1949 al 1957 – il Motomondiale portò il motociclismo nelle vette del grande sport contribuendo ovunque, specie in Italia, alla rinascita, non solo materiale. Poi, a fine ’57, arriva la mazzata che fa dividere  il motomondiale in due grandi fasi: quella dal dopoguerra al 1957 e il dopo 1957 senza più la partecipazione di Guzzi, Gilera, Mondial protagonisti dei primi nove anni iridati.

A dire il vero, anche il 1958 fu dominato dall’industria italiana, ma da una sola Casa – la MV Agusta – che fece poker con Carlo Ubbiali nella 125, Tarquinio Provini nella 250 e con John Surtees nelle 350 e 500. Il Conte Domenico Agusta fu accusato di “tradimento” e “voltafaccia” avendo la marca di Cascina Costa prima deciso di sottoscrivere il “Patto dell’astensione” insieme alle altre tre grandi Case lombarde poi decidendo il dietrofront e continuando l’avventura delle corse – pur con la opportunistica copertura della dicitura “privat” – sfruttando la nuova situazione favorevole data dall’assenza di avversari adeguati, almeno per un po’. C’è comunque da dire ancora grazie alla MV Agusta per non aver all’epoca abbandonato il campo cogliendo con le sue straordinarie moto e i suoi grandi campioni allori ovunque e tenendo alta la bandiera di quel che rimaneva del Made in Italy nel mondo, capace quanto meno di contenere e rallentare l’invasione “gialla”.

E c’è da dir grazie ad altre Case italiane che, pur non sempre con “coerenza” tecnica e chiara visione strategica – soprattutto lasciate “sole” dalla FIM, dalla FMI e dai Governi di allora nel cimento internazionale – si impegneranno nelle competizioni rinverdendo il mito di “Davide contro Golia” : Benelli, Morini, Bianchi, Ducati, Aermacchi, Garelli, MotoBI, Rumi, Parilla ecc. su su fino ai nuovi arrivati quali Morbidelli, Mba, Minarelli, Malanca, Sanvenero e poi altri a cominciare dall’Aprilia, dalla Cagiva e quindi il rientro Ducati.

Perché la “fiocinata” di Guzzi, Gilera, Mondial che a fine ‘57 abbandonarono il campo dopo aver dominato? All’inizio, la motivazione verbale del forfait non convinse nessuno, palesemente una scusa: “Abbandoniamo le corse perché i regolamenti dal 1958 proibiscono le carenature integrali”. Così come non convinceva l’abbandono per mancanza di avversari. La decisione del forfait rifletteva una incapacità delle Case a interpretare la nuova realtà sociale italiana con il “miracolo economico”, chiuse in una visione provinciale non comprendendo la portata dei mercati internazionali, quello europeo e americano per primi.

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Invece di rapportarsi al nuovo e ai nuovi possibili mercati – vere e proprie praterie da pascolare – e cavalcare l’onda di una maggior disponibilità della gente  a spendere anche rispondendo alle esigenze di mobilità per lavoro e per svago le Case motociclistiche ritennero di fatto chiuso il ciclo di espansione della motocicletta, considerato solo come mezzo di trasporto “povero” per “poveri”, sostituito oramai dall’automobile utilitaria quali le Fiat 600 e 500. L’auto invadeva il mercato ma non “copriva” lo spazio della moto nelle sue varie declinazioni: ciclomotori e scooter come mezzo ultra utilitario di trasporto personale specie per recarsi al lavoro muovendosi anche meglio nel traffico già in aumento, e motociclette di livello superiore come mezzo di divertimento, sportivo, di identificazione per la scalata sociale e per i giovani. Serviva anche una svolta tecnica con l’immissione di nuovi modelli che invece rimasero sulla carta.

C’era un netto divario fra la moto da corsa, raffinatissima e di forte appeal sotto ogni profilo, e il prodotto di serie, per lo più antiquato e poco affidabile. La nostre Case inventarono nell’ante guerra il “quattro cilindri” da corsa ma lasciarono alla Honda la… “mossa” della prima plurifrazionata di serie 750 poi 500, gioielli in tutti i sensi che invasero i mercati per la loro superiorità.

Ci fu indubbiamente da parte delle nostre Case una visione miope e una voglia frettolosa di chiuderla con le corse e anche con le moto. La dimostrazione di questo errore la daranno di là a poco le Case del Sol Levante, iniziando dalla Honda che entrò nel Motomondiale nel 1959 anticipando grandi successi – tutt’ora in pieno svolgimento – in pista e nei mercati.

Le Case italiane erano pur coscienti della funzione delle corse come eccellente banco di prova tecnico e come promoter di immagine e di comunicazione della Marca. Il problema era un altro: le nostre grandi Case – pochissime le eccezioni – pensavano che la motocicletta fosse un mezzo superato e non avesse futuro. Altro che investimenti nelle corse! Furono davvero le competizioni-mangiasoldi a mettere in crisi GileraGuzziMondial? No. Fu l’incapacità ad adeguare il prodotto alle nuove realtà dei mercati e a non comprendere appieno il valore delle corse anche come strumento di promozione per la produzione di serie, quindi “acchiappa-soldi”. Invece di rilanciare innovando si decise di sedersi, tagliando il ramo che più stimolava la pianta a dare frutti migliori. Fino a tutto il 1957 il motociclismo era, assieme al ciclismo e all’automobilismo e al calcio, lo sport più amato e seguito, non solo in Italia. Poi, dopo il ’57, arrivò il “grande freddo”. Ci vorranno anni per recuperare. Cosa accadrà, oggi, dopo lo tsunami del coronavirus?

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