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SBK, è l’ora della svolta?

Dal nono round di Misano al prossimo appuntamento di Portimao la SBK si prende due mesi e passa di ferie utili per ritemprarsi ma, anche per riflettere sul proprio stato di salute…

Dal nono round di Misano al prossimo appuntamento di Portimao (14-15 settembre) la SBK si prende due mesi e passa di ferie utili per ritemprarsi ma, si spera, anche per riflettere sul proprio stato di salute, non eccellente. Il mondiale delle derivate di serie, pur con aspetti tecnico-agonistici pregevoli, annaspa alla ricerca della propria identità smarrita.

I ritocchi apportati per ridare smalto al campionato attraverso correttivi organizzativi (in primis Gara 1 il sabato e Gara 2 la domenica) e l’uso “disinvolto” dei regolamenti (di fatto penalizzando le moto più competitive) non ha modificato sostanzialmente il livello di competitività con lo stesso binomio (Rea-Kawasaki) da quattro anni sugli altari. Il promoter Dorna (“proprietaria” anche del Motomondiale-MotoGP e del CEV), consapevole dell’esigenza di cambiare, si rigira la patata bollente, non trovando ancora la soluzione convincente. I nodi si sono via via fatti più stretti perché Dorna, tutta presa dal Motomondiale-MotoGP, non ha deciso cosa vuole fare della SBK.

Nel motociclismo show-business il ruolo del promoter (Dorna) è essenziale per la fattibilità al più alto livello di professionalità di gare e campionato garantendo copertura televisiva mondiale, cioè la condizione fondamentale per avere grande audience e conseguenti ritorni di immagine per le aziende sponsor determinanti per formare la torta economica da dividere con tutti i protagonisti del Circus. Altrettanto fondamentale è il ruolo delle Case costruttrici che non possono limitarsi al ruolo di “fornitore” in modo pilatesco e devono dire quali intenzioni hanno rispetto al mondiale SBK in una situazione di mercato delle moto super sportive assai arido.

C’è il rapporto altalenante fra Case e Team con questi ultimi bisognosi di un maggior supporto (economico) da Dorna e un diverso supporto tecnico (moto ufficiali-bis) dalle Case. Oggi la SBK non è né carne né pesce. Un passo “avanti” la porta a una copia della MotoGP, un passo “indietro” la porta a copia delle Superstock, forse lo sbocco necessario per aumentare partecipazione, interesse, show e per diminuire i costi. C’è la questione del format rivisitando alcuni aspetti: una Superpole più caratterizzata, il riposizionamento delle due gare in due giorni diversi e, non ultimo, il costo del biglietto ecc. C’è, di fatto, una questione di “identità” della SBK che va ripensata e ridisegnata all’interno di una visione strategica più generale in un rapporto più diretto con la MotoGP.

Oggi la SBK ha scarsa visibilità perché ha scarso appeal e ridotta credibilità. Manca di un campione-star, il portabandiera, l’interprete mondiale della categoria. Se in MotoGP il testimonial è da anni Valentino Rossi qui il pilota-campione espressione del campionato non c’è (più). C’è un problema di “riconoscibilità”, di “qualità” (anche dei suoi piloti), di “passione” collettiva. Manca il filo conduttore che lega corsa e appassionato, pilota e fan, moto-marca e utente ecc. Chi, fuori dallo zoccolo duro degli aficionados, sa dire i nomi dei primi dieci piloti SBK? Chi conosce le loro carriere? Lo show-business-sport di massa ha le sue esigenze e le sue regole, altrimenti addio massa, addio sponsor, addio soldi, si spengono le luci.

C’è una questione di “carisma” che fa la differenza fra un campione noto ma di nicchia e un campione sulla bocca di tutti. Non è vero che pochi e buoni sia meglio. Non è vero che il motociclismo di “veri” appassionati sia meglio. Non è vero perché semplicemente oggi un motociclismo di “nicchia” non avrebbe spazio, possibilità di esistere, annasperebbe chiudendo i battenti. Serve mantenere, anzi allargare, la dimensione di massa del mondiale SBK, coinvolgendo segmenti diversi di appassionati e di clienti-motociclisti più “tecnici”. Serve quindi un campionato delle derivate di serie “diverso”, “altro”, marcando la differenza fra le attuali SBK e le altre discipline, da ridurre anche di numero. Serve una rivoluzione portando aria nuova, nuovi (giovani) piloti, una diversa strutturazione e articolazione tecnica, di cilindrate ecc. Serve, ripetiamo, un rapporto più stretto fra SBK e MotoGP.

La WSBK e la MotoGP possono convivere autonomamente ed essere anche “complementari”, utili l’una all’altra. La soluzione non sta nel portare la SBK dentro la giornata di gara del Motomondiale in sostituzione, ad esempio, della non felicissima Moto2. Così come non si può tornare ai… bei tempi andati pensando a moto da corsa direttamente derivate dalla serie con… fanale e targa.

Servono sinergie fra MotoGP e SBK, due categorie non più in alternativa l’una dell’altra o in guerra fra loro, ma semplicemente come “autonomi” vasi comunicatori, con una regia unica. Il promoter è lo stesso e le Case impegnate pure. Oggi la realtà del motociclismo è chiara: è la MotoGP il polo e faro di attrazione sportiva-tecnica-mediatica e di business, con i piloti su un binario tracciato: dalla Moto3 alla Moto2, per l’agognata Premier Class dispensatrice di immagine, gloria e di soldi.

Alla Superbike serve una rinnovata griglia di partenza formata da un mix di due diverse generazioni di piloti con due diversi tipi di percorso e di esperienza: servono nuovi giovanissimi piloti prodotti e provenienti da una nuova categoria di moto derivata dalla serie (bene la 300) e accanto a questi “giovani leoni” servono piloti-campioni, già affermati e di prestigio, validissimi “seniores” della MotoGP pronti a cambiare campionato – dalla MotoGP alla SBK – non nella logica del “cimitero degli elefanti” bensì nel concetto (soprattutto per motivi anagrafici) che ogni stagione dà i suoi frutti e quindi poter affrontare la SBK come nuova avvincente sfida in una diversa fase della attività sportiva professionistica.

Per incentivare questo passaggio serve un limite di età dei piloti MotoGP: arrivati ad esempio a 35 anni (o dopo determinati punteggi in classifica) non si può più rimanere nella Premier Class. I passaggi fra le due categorie di grandi campioni come è stato per Biaggi, Melandri, Hayden ecc. non avverrebbero più come mosche bianche prese al volo ad uso e consumo di una stagione ma in modo organico e sulla base di regolamenti validi per tutti, con l’ausilio diretto di grandi case e grandi Team, in rappresentanza di più Nazioni ecc. Ciò, oltre a dare una prospettiva nuova a chi esce dalla MotoGP, oltre a galvanizzare la nuova SBK, produrrebbe un valore aggiunto sulla produzione di serie per l’apporto di esperienza altamente qualificate di certi campioni, come hanno già dimostrato Max Biaggi e Carlos Checa per Aprilia e per Ducati. Non solo, con l’uscita dalla MotoGP di piloti per limiti di età, si aprirebbero spazi per nuovi giovani talenti. Arriva Dani Pedrosa in SBK? Se è così, ben venga, ma non basta. In definitiva, non è il momento dei palliativi: è l’ora del coraggio per una svolta vera.

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