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Jerez tragica, muore a 14 anni Marcos Garrido

Come sempre, dopo un incidente mortale come quello di Marcos, nel mondo delle corse tutto poi torna come prima sia per quanto riguarda la sicurezza sia rispetto alle solite frasi di circostanza – anche retoriche e conformiste – riferite al pilota scomparso…

La morte di un pilota in gara lascia sempre sgomenti e in questo caso, trattandosi di un ragazzo di 14 anni, la tragedia spezza il cuore riproponendo vecchi interrogativi sulle corse e riaprendo nuove polemiche sull’età dei corridori.

E’ una scena, quella accaduta ieri sul circuito di Jerez, più volte vista nel motociclismo, stavolta però con l’epilogo della tragedia. Incappato in una scivolata durante la gara regionale Supersport 300, il 14enne pilota di Rota Marcos Garrido Beltran viene investito da un altro corridore riportando ferite gravissime.

Immediatamente soccorso dal personale di servizio e subito trasportato all’ospedale di Jerez i medici hanno tentato di tutto per salvarlo ma invano. Purtroppo, Marcos non ce l’ha fatta e dopo un’ora è deceduto.. Una tragedia per la famiglia del piccolo Marcos, per il motociclismo spagnolo e internazionale con messaggi di cordoglio dall’ambiente motociclistico di tutto il mondo, cui la redazione di Motoblog si associa con rispetto e dolore.

Come sempre, dopo un incidente mortale come quello di Marcos, nel mondo delle corse tutto poi torna come prima sia per quanto riguarda la sicurezza sia rispetto alle solite frasi di circostanza – anche retoriche e conformiste – riferite al pilota scomparso.

Anche negli ultimi anni, non sono stati pochi, nelle numerose categorie dei tanti (troppi?) campionati di motociclismo sparsi nel mondo, gli incidenti mortali che hanno coinvolto anche corridori ragazzini. Un solo esempio, quello del 13enne americano Peter Lenz deceduto a Indianapolis il 28 agosto 2010 dopo essere caduto e travolto dalla moto di un altro concorrente nel Trofeo Moriwaki 250.

In entrambi i casi, a Indianapolis e a Jerez, non c’è niente da addebitare agli organizzatori, trattandosi di due circuiti di altissimo livello, con il massimo standard di sicurezza, con strutture e personale adeguati. Non ci si può che ripetere: le corse di moto e di auto (al pari e anche di più di altre discipline sportive) restano ad alto rischio e chi volontariamente fa il pilota per esaudire la propria passione se ne assume la piena responsabilità, genitori compresi.

Ma non è vero che per passione si può andare allo sbaraglio, mettere a repentaglio la propria incolumità, addirittura la propria vita e soprattutto quella degli altri. Le corse non sono una corrida né una ruolette russa dove l’eccezione è quella a fine prova di essertela scampata. Correre è da sempre uno sport complesso che, oltre a imporre sacrifici di vario tipo, richiede tecnica, disciplina, forma psico-fisica, lucidità, mezzi e circuiti adeguati alla ricerca della massima competitività coniugata alla massima sicurezza possibile.

Rispetto all’incidente mortale di ieri a Jerez il tema riguarda, caso mai, soprattutto i regolamenti internazionali e non c’è bisogno di girarci tanto attorno rilanciando una domanda: bisogna porre un “diverso” tetto di età ai piloti-ragazzini a seconda dei tipi di competizione? Una cosa è permettere a un bambino di 10-14 anni di correre con una minimoto, un’altra di correre con un mezzo che ha potenza e velocità elevate, quasi quelle di una moto da corsa “vere” normalmente in mano a piloti professionisti ed esperti.

Ciò detto, va ribadito che il motociclismo da competizione in pista non è un gioco, che il rischio non è eliminabile e anzi è una componente di questi sport: è uno degli ingredienti del suo fascino. Chi lo nega, mente sapendo di mentire. Negli ultimi anni, si è fatto molto per la sicurezza, anche a scapito dello spettacolo (per esempio con l’abbassamento delle medie sul giro, con la proliferazione di chicane, con circuiti da …”go kart”, per non parlare dell’uso invasivo dell’elettronica ecc).

Più che altro per esigenze di business (il circus deve funzionare sempre e con tutti i protagonisti in campo, ecc.) si punta verso la ricerca della massima sicurezza, addirittura con l’obiettivo dell’annullamento del pericolo. Che, però, resta una utopia. Eliminare completamente i pericoli delle corse, a qualsiasi livello, è impossibile perché c’è l’imponderabile. L’impegno per migliorare la sicurezza deve essere permanente e totale da parte di tutti.

Ma la ricerca della massima sicurezza possibile non può portare allo snaturamento delle competizioni motoristiche, che erano, sono e resteranno “rischiose”, per tutti pur se a diversi livelli: dal ragazzino alla sua prima gara al campione del Mondo della MotoGP. E comunque va messa al bando ogni forma di ipocrisia e di strumentalizzazione. Perché o si smette di piangere o si smette di correre.

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