Home John Surtees, 86 anni fa nasceva il “figlio del vento”

John Surtees, 86 anni fa nasceva il “figlio del vento”

Nessuno come Surtees nella storia del Motomondiale e della Formula 1!

Nessuno, almeno fra i grandi media italiani, ha ricordato ieri il compleanno di John Surtees nato 86 anni fa, l’11 febbraio 1934, e morto due anni fa, ottantatreenne, il 10 marzo 2017. John Surtees è passato alla storia per essere stato l’unico pilota campione del Mondo nel motociclismo e nella Formula 1. Per la precisione 7 mondiali vinti in moto con le MV Agusta e 1 mondiale vinto in F1 con la Ferrari trionfando anche nel campionato USA CanAm. Non è difficile pronosticare che questo record resterà imbattuto per sempre. Ma “Big John” va ricordato non solo per questa straordinaria performance iridata mai riuscita a nessun altro pilota di motociclismo e di automobilismo: un gentleman nei modi e nella sostanza, “malato” di corse, tecnico raffinato, costruttore di grande coraggio e intuito, fuoriclasse senza aggettivi. Manuel Fangio, cinque titoli mondiali in Formula uno, collocava Surtees più in alto di tutti: “Il pilota più completo del motorismo di tutti i tempi”. E Enzo Ferrari, che apprezzava gli ex corridori motociclisti perché: “hanno esperienza, conoscenza meccanica, pratica di velocità, senso agonistico e, non ultima, operosità di umile lavoro” poneva Surtees ai vertici, un esempio alla guisa di icona. “Di John – scrisse il Drake nel suo mirabile libro “Piloti che gente…” mi piaceva la tecnica, la passione, lo spirito che in parti uguali e senza risparmio profondeva nella battaglia della competizione. Mi piaceva la sua serietà: studiava la corsa e si preparava con coscienza e impegno: attento a ogni particolare, meticoloso, osservava gli avversari, le macchine, le caratteristiche della pista, sempre alla ricerca del particolare da sfruttare, del dettaglio da risolvere a proprio vantaggio. E così era anche nei confronti della sua macchina: non era mai contento perché sapeva che in meccanica c’è sempre “qualcosa d’altro” che si può scovare, in barba alla logica o al calcolo più esatto. In corsa viveva la competizione minuto per minuto. Era un combattente generoso e non si risparmiava mai”. Più modestamente, scrivevamo tempo addietro su Motoblog: “John trasformava l’arte di correre in “arte di vincere”, sintesi di arte pura – nello stile di guida (è il primo che in curva sposta il corpo all’interno, disassato dalla moto), nello scalare le marce, (una doppia da cambio … elettronico), nell’impostare un curvone (svirgolate da brivido), nel superare un avversario in staccata – con tocchi mirabili alla Michelangelo, Raffaello, Leonardo. Una sintesi fra Nuvolari e Duke in moto, paragonato in F 1 a Stirling Moss nel temperamento”.

Un “gigante” in pista e fuori, dalla dura scorza ma di grande umanità. Proprio dieci anni fa, a una mia domanda sul figlio Henry perito tragicamente in gara nel 2009 in Formula 2 a Brand Hatch, rispose: “Un bravo ragazzo, un bravo pilota: quando il destino ti chiama, ti chiama”. Gli si arrossarono leggermente gli occhi, non una lacrima una.
John ha ricevuto in patria grandi onorificenze (l’ultima nel 2015 nominato dalla regina Elisabetta Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico!) ma ha amato l’Italia e gli italiani anche perché deve ai nostri due più famosi Marchi delle corse – MV Agusta per il motociclismo e Ferrari per l’automobilismo – i risultati più fulgidi della sua luminosa e inimitabile carriera.
John ricordava sempre gli anni d’oro trascorsi dal 1956 al 1960 in sella ai bolidi di Cascina Costa (7 titoli mondiali vinti!) e dal 1962 al volante delle Rosse di Maranello (1 titolo mondiale nel 1964 che potevano essere almeno 3 senza il divorzio con la Casa modenese del 1966), con il conte Domenico Agusta e il comm. Enzo Ferrari messi da “Big John” sullo stesso piano per passione, competenza, volontà di primeggiare e anche per il… non facile carattere: “Due incomparabili geni e benemeriti del Motorsport mondiale di tutti i tempi”.
Cosa poteva fare John, nato in una famiglia di corridori, il taciturno padre Jacksidecarista, la madre “dragonessa” Dorothy sulla ciabatta, il fratello Normanbuon fantino nelle 125? A 17 anni, nel 1951, il debutto a Thruxton con una Vincent HRD 500, poi la dura gavetta con una Norton privat, quindi il primo exploit iridato all’Ulster, con la NSU “Sportmax” 250. Nel ’55 il ritorno da “ufficiale”, castigamatti, alla Norton: 88 corse 77 vittorie, 8 volte secondo, 2 volte terzo! Da lì, 21enne, il 19 ottobre 1955, su un tappeto di velluto (e di sterline) steso dal Conte Domenico Agusta, il gran salto quale primo pilota nello squadrone di Cascina Costa, degno erede del grande compianto Leslie Graham.

In cinque stagioni di fuoco, dal 1956 al 1960, Surtees lotta contro un lungo elenco di grandi piloti della vecchia e della nuova generazione (Duke, Masetti, Lomas, Mc Intyre, Cavanagh, Milani, Dale, Armstrong, Campbell, Sandford, Monneret, Grant, Bandirola, Lorenzetti, Zeller, Muller, Artle, Minter, Venturi, Liberati, Hocking, Hailwood) ma svetta: sette titoli iridati (tre nella 350 e 4 nella 500), 38 Gran Premi vinti, imbattuto per quasi tre anni in 25 gare iridate consecutive, frantumati tutti i primati in tutte le piste, due sole cadute!
Surtees, corridore “scientifico” e dei “filotti” (nel ’59 vince tutti i GP della 350 e della 500), inglese con lo sguardo rivolto all’Italia, era davvero un gentiluomo d’altri tempi. Per “Big John”, viso tondo e slavato da eterno bambino timido e imberbe, figura da “francescano”, curvo e impacciato a piedi quanto armonioso e sicuro sulla moto, le corse erano la sua ragione di vita. Il canto ammaliante delle sirene delle quattro ruote lo strappa presto al motociclismo: a soli 26 anni chiude una straordinaria carriera sulle due ruote per una nuova sfida, inseguendo il mito di Nuvolari, Varzi, Rosemehier, Behra, Serafini, Ruffo. John passa dal Conte Agusta di Cascina Costa al “Drake” di Maranello e riesce dove anche calibri come Mike Hailwood e Giacomo Agostini falliranno, dopo.
Semplicemente ineguagliabile, Big John. Anche per il suo stile. Non solo in corsa. Bastava stargli accanto, osservarlo, quando seduto nel paddok – come se l’imminente battaglia che doveva sostenere di lì a poco in pista non lo riguardasse – prendeva il the con la moglie Pat. Campioni si nasce. Forse anche gentleman.

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