Roberto Patrignani, 12 anni fa ci lasciava il giornalista-scrittore-corridore

Patrignani è stato giornalista e scrittore fra i più versatili, apprezzati e stimati, capace di coniugare la tecnica motociclistica con uno stile appassionante quanto raffinato e ironico. Ed è stato anche pilota...

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 22 gen 2020
Roberto Patrignani, 12 anni fa ci lasciava il giornalista-scrittore-corridore

Sono passati 12 anni da quando il 22 gennaio 2008 ci lasciava, 73enne, Roberto Patrignani, una vita dedicata al motociclismo a 360 gradi. Patrignani è stato giornalista e scrittore fra i più versatili, apprezzati e stimati, capace di coniugare la tecnica motociclistica con uno stile appassionante quanto raffinato e ironico ed è stato anche pilota: “Per hobby” diceva lui schermendosi, quasi volesse chiedere scusa. Vincitore di una sola gara in circuito, nel 1963 a Bourg-en-Bresse su una Morini 250 prestata come sempre dall’amico di turno, anche qui come volesse scusarsi: “Correvo da solo”. E non era vero. Era solo in giornata di grazia. Nato il 21 novembre 1935 a Firenze era andato a Milano con la famiglia, poi sfollata a Mandello Lario nel 1944 dopo i bombardamenti degli alleati che avevano distrutto la loro abitazione milanese di via Canova. Attratto subito dalle Aquile di Mandello, inizia ancora poco più che ragazzo a correre in moto e a scrivere di moto, specie di prove e di corse. Ha lavorato alla redazione del mensile Motociclismo, specie come tester e come inviato alle gare, collaborando per molte testate di settore e non, scrivendo anche grandi quotidiani. Gareggiò anche nelle Gran Fondo degli anni ’50, Milano-Tarnto e Motogiro, nella Mototemporada emiliano-romagnola, in alcuni round del Motomondiale, due volte al TT dell’Isola di Man. Sempre per vedere: “da dentro”, diceva. Nel 1963 fu fra i piloti impegnati dalla Garelli nei tentativi del record mondiale di velocità sulla 24 ore per la classe 50 cc. conquistato alla media di 108,834 Kmh sull’anello di alta velocità del circuito di Monza. Nel ’69 partecipò, sempre a Monza, all’avventura della Guzzi con un prototipo V7 sempre a caccia di record.

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Inventò raid all’epoca ritenuti impossibili: in occasione delle Olimpiadi in Giappone fece la Milano-Tokyo su una Vespa 150 immortalandone le gesta su un suo bellissimo libro. Nel ’66 aveva fatto la traversata dell’Africa in sella a un GUzzi Dingo 50 e successivamente, nel 1980, il coast-to-coast negli USA da Charleston a Los Angeles con un Garelli Noi automatico. Fu anche DS e responsabile PR della Garelli. Soprattutto fu un sognatore capace di fare sognare:
«I sogni non si possono surgelare. Vanno consumati freschi, ricchi di linfa, colori, profumi, unicamente al momento della massima fioritura. Dopo, sono come quelle violette seccate tra le pagine di un vecchio libro. Procurano solo mestizia e l’impulso di chiudere il libro con un botto ovattato e un soffio di polvere che sa di muffa.»
(Roberto Patrignani, da Il Guzzino che non ebbi, Motociclismo d’Epoca, gennaio 1996, pag. 47)

Per chi scrive queste note, Roberto fu soprattutto un amico. Indimenticabile, pur se non facile come persona dalla “schiena diritta”. L’ho incontrai (io 16enne scribacchino alle prime armi e lui 31enne già affermato e famoso giornalista) per la prima volta nel paddok dell’autodromo di Monza nel 1966 (ero già stato a Monza a 7 anni nel 1957…) al mio debutto come “inviato” di un grande giornale nazionale in una gara mondiale e diventammo subito amici, ammonendomi: “Se vuoi scrivere di motociclismo non andare mai in sala stampa e sta poco anche nel paddock. Stenditi nella curva più tosta del circuito dove puoi toccare con mano i piloti” E andammo insieme alla seconda di Lesmo. Ciao, indimenticabile amico.

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