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MotoGP: Ducati, è l’ora della strategia!

Vincere in MotoGP al Mugello per tre anni di seguito e con tre piloti diversi dimostra che sulla pista toscana la Ducati è imbattibile. Ma…

Vincere al Mugello per tre anni di seguito e con tre piloti diversi – Dovizioso nel 2017, Lorenzo nel 2018, Petrucci nel 2019 – dimostra che sulla pista toscana, la Ducati è imbattibile. C’è però da sperare che, così come è già accaduto nei due anni precedenti, ai trionfali GP d’Italia non seguano prestazioni altalenanti delle Rosse e, soprattutto, non ci sia la stessa conclusione del campionato, con il Mondiale MotoGP vinto nelle ultime tre stagioni dal binomio Marquez-Honda.

Dopo il trionfo di Danilo Petrucci, oramai certo del rinnovo contrattuale per almeno la stagione 2020, e dopo i primi sei round stagionali (quindi dopo il primo terzo di gare 2019), l’Ing. Gigi Dall’Igna direttore generale Ducati Corse sintetizza: “Ducati è l’unica a vincere con due piloti”. Vero. Bravi. Applausi. A Losail primo Dovizioso, al Mugello primo Petrucci. Centrata la prima corsa, centrata l’ultima (per ora) corsa. Ma nella tenaglia delle Rosse il leone Marquez non c’è. L’asso spagnolo è primo in Argentina, Jerez e Le Mans, out per improvvida caduta in Texas quando già era in fuga. Sta di fatto che dopo il GP d’Italia il vantaggio di Marquez (115 punti) sul Dovi (103) è aumentato di 4 punti, da 8 a 12, mentre il Petrux, scavalcato Rossi (72), adesso è quarto (82) dietro al terzo Rins (88).

Il campionato è lungo e tutto può accadere, come sempre. Honda ha toppato con il suo “dream team” perché Jorge Lorenzo ha perso la bussola e nessuno sa se e quando il maiorchino la ritroverà: ma Marquez fa il lavoro per due e di più, come dimostrano fin qui i risultati. Già, nel motociclismo la squadra conta ma essendo sport “individuale”, alla fine è uno solo a tagliare per primo il traguardo ed è uno solo a vincere il titolo di campione del Mondo. Perché, allora, due piloti nella stessa squadra? Perché, oltre alle note e arzigogolate questioni relative allo sviluppo della moto ecc., c’è la questione del “gioco di squadra”. Cioè due piloti meglio di uno se entrambi rispondono a una strategia ideata e gestita dal Team. Se, invece, ognuno va per conto proprio, il rischio di mandare tutto a carte quarantotto è reale perché, si sa, il compagno di squadra è il primo degli avversari e per un pilota essere battuto dal proprio compagno è la peggiore delle sventure. Non è sempre stato così? E non è stato così anche dopo la gara del Mugello guardando il viso del Dovi cui mancavano solo le lacrime, non di contentezza?

Allora? Ducati dispone di due ottimi piloti con il limite di essere entrambi “bravi ragazzi”. Le “scuse” di Danilo ad Andrea per averlo battuto, oltre che umanamente encomiabili, sono … legittime anche agonisticamente perché l’asso ternano è consapevole che quei punti fatti perdere in classifica al compagno di squadra forlivese potrebbero – Dio non voglia! – essere decisivi a fine campionato. Ma, viste da fuori, sono anche scuse paradossali perché non essendoci ordini di scuderia ognuno fa la sua corsa e gioca per se stesso tutte le carte che ha. Una Casa come Ducati non può limitarsi a gioire perché è “l’unica a vincere con due piloti”, come dire: “Avete visto che moto che abbiamo! Con Ducati non è il pilota che vince, ma la moto!”. E’ una strategia perfetta sul piano del marketing (già usata in passato da Guzzi, Gilera, MV Agusta, Benelli, Morini ecc.) ma assai discutibile rispetto al risultato finale che è quello di vincere il titolo mondiale. Honda, con Marquez, non ha un “bravo ragazzo”, ma un fuoriclasse con gli artigli lucidati e la baionetta sulla manopola del gas: una belva insaziabile, peraltro migliorato e maturato anche sul piano tattico. Per battere un Marquez così serve uno Stoner formato 2007. Uno Stoner non c’è? Già. Allora serve la strategia definita prima a tavolino e poi tradotta in pista. Non ci si può vantare di non aver dato ordini di scuderia per poi prendere atto, alla fine, che il titolo a Borgo Panigale non arriva neppure quest’anno.

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