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MotoGP: verso i 22 round. L’effetto Rossi

Motomondiale con 22 round: che ne dicono Case, Team, piloti, sponsor?

Un famoso canto popolare di protesta delle mondine degli inizi del ‘900 recitava: “Se otto ore vi sembran poche”. Con un po’ di fantasia, in riferimento ai round del Motomondiale-MotoGP, oggi si potrebbe dire: “Se 19 Gran Premi vi sembran pochi”. A cosa ci riferiamo? Al promoter del Motomondiale, la Dorna, decisa ad allungare il massimo campionato di velocità portandolo presto a 22 gare, tre più di oggi, già a quota 19, cifra record dal 1949. Il motivo? Sempre lo stesso: incrementare il business. Obiettivo considerato possibile con più gare, in tutti i Continenti, così da poter invogliare nuove emittenti televisive interessate ad acquistare i diritti tv e a incrementare le entrate derivanti dai singoli organizzatori nazionali dei Gran Premi. Non ci vuole molto a capire che i due canali di entrate pro Dorna sono fra loro collegati.

L’obiettivo di allungare il Campionato per incrementare il proprio business è legittimo perché il promoter multinazionale (Made in Spagna) è una azienda privata che opera nel mercato con l’obiettivo principale del guadagno. Bisogna però vedere se tale obiettivo è compatibile nel rapporto costi-benefici e con gli obiettivi degli altri soggetti del Circus: Case, Team, piloti, sponsor ecc. E soprattutto se questo dilatare ulteriormente un campionato che già da anni ha superato i propri confini europei (ad esempio, nel lontano 1965 il mondiale si aprì con il GP Usa a Daytona: trionfo nella 500 della MV Agusta con Mike Hailwood e straordinario podio della Morini con Silvio Grassetti nella 250) e che giù adesso inizia a marzo e finisce a novembre, fa bene o fa male al motociclismo in quanto sport.

Si dice che il Motomondiale (che per Dorna è la MotoGP) deve seguire i nuovi mercati extra europei – Asia in primis – perché l’Europa non è più il mercato di riferimento. E’, questa, una medaglia a due facce, perché i nuovi mercati (asiatici) sono interessati a moto e scooter utilitari, modelli tecnicamente semplici e super economici venduti per il loro prezzo basso d’acquisto e di manutenzione e non certo per la spinta promozionale della MotoGP e dei suoi bolidi iper tecnologici e iper costosi. Si dirà: allora la Formula 1 già a quota 21? Già. A parte ogni altra considerazione sulle differenze fra i due campionati, i due segmenti del prodotto a 4 e a 2 ruote, su business solo apparentemente “simili”, c’è da mettere sulla bilancia quanto la F1 ha guadagnato (di interesse ecc.) con l’incremento dei GP in nuove aree mondiali e quanto ha perso in Europa (la F1 disputa 9 gare in Europa su 21 mentre la Moto 12 su 19 con anomalie quali i 4 GP in Spagna) che resta lo “zoccolo duro” del Motorsport internazionale. Non solo. La Formula 1, pur nell’altalena di regolamenti tecnici assai discutibili, ruota da decenni sulla presenza della Ferrari, al di là dei risultati. Cosa sarebbe la F1 senza la Rossa? Idem per il Motomondiale che da anni ruota attorno alla MotoGP, con Valentino Rossi vessillifero e volano del Circus. Non è questione di fan, ma di fatti.

Il motociclismo ha vissuto diverse epoche, ognuna, fra alti e bassi, con caratteristiche specifiche. Il motociclismo degli “eroi” fra le due guerre ha come emblema Nuvolari. Dal dopoguerra al 1957 le grandi Case (italiane) contano più dei piloti. Poi arriva Agostini, il primo campione che entra – grazie anche alle prime timide apparizioni della Tv – nelle case della gente comune. Con Valentino Rossi (che nasce quando Agostini chiude la sua carriera) c’è il “salto di qualità” che può sintetizzarsi con una frase: “Il pilota giusto al momento giusto”. Valentino come Agostini, un vincente: classe, carisma, leadership, ragazzo intrigante, furbo e fortunato, irriverente al limite della sfrontatezza, dal viso acqua e sapone, di forte appeal anche per vicende extra sportive, capace di bucare lo schermo avvicinando al mondo delle corse pieno di tecnica e di rischi anche la… casalinga di Voghera, con zie e nonne al seguito.
Così nasce il personaggio, interprete e vessillifero di un motociclismo nuovo e diverso, strumento di immagine e comunicazione per le aziende sponsor, nella logica dello sport show-business. Come con tutti i personaggi, la grande platea si divide, non senza eccessi, pro e contro. Ma il fatto resta, inequivocabile: Valentino è stato lo spartiacque fra l’epopea del motociclismo de “I giorni del coraggio” chiusa brillantemente da Agostini e il motociclismo mediatico e volano pro-business che così si prende la scena in prima fila.

Rossi inventa, da ragazzino con il sorrisetto beffardo, un corridore-personaggio “nuovo”, per un pubblico non più solo “tecnico”, di ogni età, di uomini e di donne, personaggio non privo di eccessi e sbavature, ma icona che regge ed è credibile perché alimentato dal modo di correre, di battagliare, dal successo in pista. Così Valentino accende la miccia che fa girare la ruota in una girandola – non priva di contraddizioni e di limiti – che produce grande sport, grande show, grande business.
Oggi, nell’organizzazione di un Gran Premio iridato in Italia, ogni euro investito garantisce incassi pari a 7,1 volte con ricadute economiche e di immagine sul territorio prima impensabili: nel 2018 l’indotto del GP di Misano è stato di 162 milioni di euro! E’ vero, molti hanno cominciato a seguire le corse grazie a Rossi. E molti continuano ad appassionarsi grazie a Rossi. Che, però, non corre da solo. Forse è questo che Valentino dimentica. Le corse c’erano anche prima di Rossi. E ci saranno anche dopo. Ma siamo sicuri che – non solo in Italia – senza Rossi la MotoGP avrà lo spesso appeal e genererà lo stesso business? E siamo sicuri che allungando la MotoGP a 22 gare sia la soluzione ai problemi nuovi che presto verranno? Se potesse, Ezpeleta farebbe un solo miracolo: spostare indietro il tempo di 20 anni per far girare in pieno la MotoGP e il suo business grazie all’effetto Rossi.

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