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Motomondiale, dove va la MotoGP dei “trenini”?

Il motociclismo, sport complesso non solo sul piano tecnico e agonistico, è sempre stato in “movimento”, con interventi esterni di vario tipo del promoter di turno in rapporto al quadro economico e commerciale del mercato…

Soprattutto nelle ultime gare e soprattutto su alcuni circuiti i “trenini” hanno caratterizzato le corse della MotoGP. Succedeva già prima, specie in Moto3 e in Moto2, ed era successo tante altre volte in passato nel Motomondiale, in diverse classi.

Il motociclismo, sport complesso non solo sul piano tecnico e agonistico, è sempre stato in “movimento”, con interventi esterni di vario tipo (specialmente tecnico e regolamentare) del promoter di turno in rapporto al quadro economico e commerciale del mercato e per rispondere alle diverse e mutate esigenze di piloti, Case, Team, sponsor, media ecc… con l’obiettivo di rendere sempre più appetibile le corse iridate sul piano dello show al fine di coinvolgere sugli spalti degli autodromi e in primis davanti alla tv più gente possibile in funzione del business, senza il quale il Motomondiale chiude i battenti.

Nelle varie epoche si è sempre avuto un diverso equilibrio fra le priorità (spettacolo-tecnica-immagine-comunicazione-sponsoring ecc.) legate comunque dalla costante passione per le corse di tutti i componenti del Circus. La gestione Dorna, d’intesa con la FIM, ha radicalmente stravolto i livelli delle passate priorità. Da tempo la creatività sostituisce la passione. Le corse, così, sono diventate strumento di business (da divedere non in parti uguali con tutti i protagonisti) e lo show diventa indispensabile per alimentare interesse per un vasto pubblico e una vasta audience televisiva mondiale, appetibili per i grandi sponsor. Il grande pubblico va dove c’è spettacolo; e se c’è il grande pubblico ci sono i media c’è la tv; e dove intervengono i media e la tv arrivano i grandi sponsor, in una girandola di soldi inimmaginabili fino a un paio di decenni fa.

Oggi l’ultimo dei meccanici di un Team di MotoGP guadagna molto di più del capo del reparto corse di una grande Casa italiana degli anni 50 o 60. Il 15 volte iridato Agostini, il pilota più pagato della sua epoca, ha avuto una “mancia” rispetto ai contratti “dorati” di un Rossi, di un Lorenzo, di un Marquez.

Oggi un Team di MotoGP (escluse le forti spese di progettazione, di realizzazione e di sviluppo della moto) costa in un anno quanto una grande Casa italiana spendeva per le corse in almeno 10 anni. Serve quindi una grande torta. E oggi c’è una grande torta. E questa torta regge non tanto per le entrate derivanti dal pubblico negli autodromi ma fondamentalmente grazie alle entrate dei diritti televisivi (solo per l’Italia, Sky sborsa oltre 20 milioni di euro annui per l’esclusiva delle dirette tv del Motomondiale) e degli sponsor i quali pagano “per essere” e “per esserci”, più che per avere, condizionando i contenuti non solo il contenitore, con ritorni pubblicitari (quindi economici) di grande valore.

La passione diventa un orpello per chi fa business. A chi interessa davvero – oltre lo zoccolo duro di gente fissata come chi scrive questo pezzo – la fantasia dei tecnici progettisti, il rombo del motore (in tv la Moto3 pare un motocoltivatore, la MotoGP un brontolio catarroso), addirittura il Marchio della Casa (la Moto2 non è una “monomarca” e la Moto3 quasi?) ecc. ecc.?

Motomondiale, dove va la MotoGP dei “trenini”?

Ci fermiamo qui perché ci pare chiaro il nostro concetto e chiarissimi gli obiettivi di chi ha in mano l’ambaradan delle corse iridate. Indietro non si torna. Perché quel motociclismo de “I giorni del coraggio” (dove peraltro non era tutto oro quel che luccicava) è figlio della sua epoca, quella dell’Amarcord, di un altro Italia, di un altro mondo. Quanta gente starebbe oggi davanti alla tv per vedere una corsa della “classe regina” con il secondo doppiato dal primo e il terzo doppiato di due giri come accadeva spesso nell’era di Agostini?

Il motociclismo (come la F1 e anche altri grandi sport) non è finito e non chiuderà con l’uscita di scena – Dio non voglia – di Rossi. E’ in corso una evoluzione (non solo il motore E) di cui poco si parla e nessuno conosce gli sbocchi. Dorna, nel bene e nel male, ha reso il motociclismo sport di massa: creando il campione-star e la corsa-show. Tutti (o tanti) vogliono identificarsi con il campione-star facendo esplodere l’emulazione di massa. Quel grande pubblico diventa un modello ideale per il consumismo, per vendere il prodotto, per il merchandising, per far girare l’economia.

Da solo, il campione-star non basta più. Serve anche la corsa-show, usando a tal fine circuiti per lo più da go-kart, con meno rischi possibili, e soprattutto usando i regolamenti tecnici restrittivi, con la mordicchia (il monofornitore di pneumatici, la centralina unica e altre diavolerie come i bluff in SBK e altre ancora allo studio, ecc.) tesi a “livellare” per “fare mucchio” in pista, cioè show, reale o presunto poco conta. Ecco i “trenini”. Prendere o lasciare. Certo, alla fine vince sempre il “migliore”. Ci pare poco? Teniamocelo stretto, almeno questo.

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