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F1 e MotoGP, fra applausi e fischi

Il boato dei fischi della marea rossa contro il vincitore del GP d’Italia riapre interrogativi e riaccende polemiche che vanno oltre l’automobilismo.

Se quel che non è vietato per legge è lecito, i fischi di ieri a Monza contro Lewis Hamilton sono caso mai di cattivo gusto e fuori dal buon senso perché esagerati, ma legittimi. Chi vince ha ragione e merita (meriterebbe) il plauso di tutti anche se in F1, oltre alle tecnologie e al peso dei tatticismo e delle strategie, il gioco di squadra con piloti-scudieri incide sul risultato e – come accaduto ieri – può lasciare l’amaro in bocca agli sconfitti reagendo alla fine con il più classico strumento del dissenso, i fischi.

Fatto sta che il boato dei fischi della marea rossa contro il vincitore del GP d’Italia riapre interrogativi e riaccende polemiche che vanno oltre l’automobilismo. E’, infatti, quella di ieri all’autodromo lombardo, una scena già vista più volte anche in MotoGP.

In F1 è stata ieri la punta più infuocata dei fan della Rossa a riversare la propria delusione per il mancato trionfo dei bolidi di Maranello beffati dalle due Mercedes che alla fine sfilano in parata, a mo’ di sberla, proprio a casa del Cavallino. In MotoGP è stato lo zoccolo duro dei fan di Valentino Rossi a fischiare sui podi del Mugello, di Misano ecc. gli avversari dell’asso pesarese, in primis Marc Marquez e anche a rendersi protagonisti di incresciosi e deprecabili episodi extra sportivi, al limite del codice penale.

In F1 e in MotoGP non sono la Ferrari là o Rossi qua gli ispiratori dei fischi anche se non sarebbe male una loro chiara presa di posizione di dissenso verso la tifoseria degli scalmanati. Tant’è. F1 e MotoGP, divenuti sport popolari e di massa grazie al supporto della tv e della rivoluzione mediatica di internet, hanno preso non solo il buono della grande partecipazione e del grande audience ma anche il brutto del pressapochismo e del fanatismo, della polemica velenosa, fino all’insulto e alle minacce (e di più) per gli avversari del proprio “beniamino” e per i fan di altri campioni considerati alla guisa di nemici.

Ieri a Monza hanno vinto le qualità di Hamilton e la capacità della sua squadra in contrapposizione ai limiti del Team Ferrari (pur con la miglior macchina in pista), ancora una volta tatticamente “impacciato”. Nessuno, però, dato il blasone della Rossa si permette –giustamente – un sol fischio contro la squadra di Maranello, riversando tutto il proprio disappunto (tutti i fischi) contro il vincitore e la sua squadra considerati il “nemico usurpatore”.

Circoscritto in questo ambito, il fischio ci sta perché è “colore”, uno “sfogo” rumoroso che lega gli sportivi sotto una bandiera, senza far danni. In F1, come in MotoGP, (ma è così anche nel calcio e in ogni altro sport professionista) vincere è l’unica cosa che conta. Se, però, a vincere non è la Marca del cuore (Ferrari in F1) o il campione del cuore (ad es. Rossi in MotoGP), non potendo prendersela con i propri beniamini, i fan riversano la propria delusione contro gli… “altri”, scaricando così anche le proprie frustrazioni che in questo caso, assurgendo a rito collettivo, diventano liberatorie. Diceva Ernest Hemingway: “Ci sono solo tre sport: il combattimento dei tori, le corse motoristiche, l’alpinismo. Il resto sono semplici giochi”.

Oggi, con il motorismo assurto a show-business, il motociclismo resta sport “unico” nella avvincente e caduca altalena fra il fuoco della passione e l’ombra cupa del rischio, con la dea bendata sempre in agguato. Domenica a Misano il motociclismo è chiamato a celebrare la sua festa di popolo onorando tutti i corridori in pista con un applauso corale. Tifare è giusto. E fischiare non è proibito. Serve il senso della misura. E capire che applaudire è meglio che fischiare.

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