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MotoGP: Ducati, così non va!

Dovizioso esce dal nono round stagionale del Sachsenring peggio di come c’era entrato: mai in lotta per giocarsi la vittoria, mai in lotta per il podio…

Dopo il GP di Germania il Dovi lancia un segnale di ottimismo: “Sono abbastanza contento” avvertendo, però: “Ma dobbiamo migliorare”. Aiutati che il ciel t’aiuta, si direbbe. Insomma, Andrea fa da cassa di risonanza della linea dettata da Borgo Panigale aggrappandosi alla visione del “bicchiere mezzo pieno”, che, però, mezzo pieno non è. Perché dai roboanti annunci di poter dominare la stagione e intascare l’agognato titolo iridato MotoGP (“E ora vinciamo il mondiale” tuonò Andrea alla vigilia di Le Mans dopo aver firmato il nuovo contratto biennale con Ducati) al rischio di rimanere “a secco”, il passo è breve.

Lasciando da parte Jorge Lorenzo – una campione-bomba ad orologeria simbolo del disorientamento Ducati nella delicata gestione dei suoi piloti – e non conoscendo ancora il reale potenziale da “ufficiale” del futuro sostituto del maiorchino, Danilo Petrucci (un purosangue o un cavallo da tiro?), tutte le speranza di successo sono affidate a Dovizioso.

Un Dovizioso che, però, al di là delle dichiarazioni d’ufficio con tratti di “politichese”, esce dal nono round stagionale del Sachsenring peggio di come c’era entrato: mai in lotta per giocarsi la vittoria, mai in lotta per il podio, addirittura fuori dalla top five, settimo posto (gap +7.941), ultimo dei piloti con le Ducati che contano, persino dietro al buon Alvaro Bautista, con una “Desmosedici” stagionata. E il piatto piange. Piange cioè una classifica generale che dopo le prima nove gare vede Dovizioso al quarto posto – 88 punti – (a pari punti con il quinto Zarco) davanti al sesto Lorenzo (85) e al settimo Petrucci (84) con un distacco dal primo Marquez di 77 punti (un abisso!), dal secondo Rossi di 31 punti, dal terzo Vinales di 21.

E, con l’aria che tira in casa della Rossa, Lorenzo – ma anche il Petrux – non sembrano proprio i compagni di squadra propensi a dare una mano al Dovi per recuperare, impegnatissimi come sono a portare legittimamente acqua al proprio mulino. C’è di più. Con Brno inizia di fatto la seconda parte della stagione.

Per la cronaca, nel 2017 a Brno vinse Marquez con Dovizioso 6°. Poi Andrea replicò con una doppietta in Austria (Marquez 2°) e a Silverstone (Marquez out), quindi un 3° a Misano (Marquez 1°), 7° ad Aragon (Marquez 1°), nuova vittoria a Motegi (Marquez 2°), 13° a Phillip Island (Marquez 1°), di nuovo primo a Sepang (Marquez 4°), zero a Valencia (Marquez 3°). Inutile ricordare come finì. Utile invece non dimenticare il vento in poppa che da un bel po’ spinge Marquez con cinque vittorie (cinque nelle ultime sette gare, due consecutive nelle ultime due, oltre a due secondi posti e a due … zeri) e tiene inchiodato Dovizioso con l’unico trionfo nell’ apertura di Losail.

Quel che è peggio è che Marquez pare giocare al gatto col topo mentre Andrea, se non alla canna del gas, pare … “impiccato” o, come domenica al Sachsenring, col freno … tirato, comunque non “in palla”. La Honda va, è molto migliorata dal 2017, ma è Marquez che la fa volare. Senza Marc la marca dell’Ala dorata raccoglierebbe ben altri risultati. Basta guardare quanto fatto fin qui da Pedrosa&C. Vanno, al di là dei piagnistei in ogni pre-gara, le Yamaha, anche qui, grazie soprattutto alla regolarità-super di Rossi e ai gran recuperi di Vinales.

E Ducati? Resta una gran moto, indubbiamente quella che nelle ultime due stagioni ha fatto un gran salto in avanti. Ma il gran potenziale non si è tradotto fin qui in risultati eclatanti da fare la differenza, come parla chiaro la classifica generale, pur se brillano i tre centri (uno di Andrea e due del resuscitato Jorge). Dopo l’apertura trionfale di Losail, per la Rossa di Dovi parava gioco fatto, un mondiale già… intascato. Anche perché nel 2017 il binomio italiano andò davvero vicino al colpaccio.

Questione di moto, dunque? No. La moto c’è. Quest’anno Dovi paga errori pesanti ma soprattutto paga la perdita del suo punto di forza: la serenità. Al di là delle apparenze, pesa al pilota forlivese il ruolo di “number one” imposto dagli eventi di Borgo Panigale subendo il clima di tensione interno con sbavature ed errori o, all’opposto, con prestazioni sotto tono, come al Sachsenring. La pausa di tre settimane può essere salutare per il gran rilancio ma anche un rischio per l’imbocco verso la disfatta totale.

La situazione è in bilico ma non cancella le qualità di un pilota freddo, lucido, costante e solido e il valore di una moto oggi seconda a nessuno. Ma, ripetiamo, i conti non tornano e suonano come un forte campanello d’allarme. Spetta alla dirigenza di Borgo Panigale rimettere a posto tutto (anche i cocci) trasformando la difficile convivenza fra i suoi tre piloti-galletti che si beccano fra loro in “tridente” eccellente e vincente. La vittoria in pista si prepara prima, fuori dalla pista. Il rischio vero, alla guisa di una maledizione, è che senza svolta il mondiale non si vince. Né questo, né quelli a venire.

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