Home Corse e cadute, tante! Colpa del motociclismo show-business?

Corse e cadute, tante! Colpa del motociclismo show-business?

Troppe cadute! 1000 piloti a terra in una stagione…

Gli incidenti dell’ultimo week end ad Assen (Stock 1000), a Oulton Park (BSB), ad Albacete (CEV Moto3), ma anche quelli precedenti (Motomondiale Moto3 ecc.), ripropongono il tema della pericolosità delle corse e della sicurezza dei circuiti. Niente di nuovo, si dirà. Per fortuna e grazie alla tempestività e all’efficacia dei soccorsi, si è fin qui evitata la tragedia. Si scopre l’acqua calda ribadendo che il motociclismo resta sport ad alto rischio sempre in un equilibrio precario fra esigenze tecnico-agonistiche e show da una parte con mezzi sempre più potenti e veloci e corse sempre più combattute e dall’altra con l’ausilio di regolamenti “museruola” e dell’elettronica invadente per aiutare i piloti a “domare” le moto e i circuiti più “lenti” e con vie d’uscita più ampie per il massimo di sicurezza possibile.

Oggi nel Motomondiale in una (lunga) stagione ci sono, fra prove e gare, tante cadute: circa 1000! Non è vero che nei decenni scorsi c’erano più cadute, è vero però che le cadute avevano conseguenze più negative (drammatiche e spesso mortali) per l’inadeguatezza dei circuiti (velocissimi, per lo più stradali, con medie sul giro spesso sopra i 200 Kmh., senza vie di fuga, con guard-rail e altri ostacoli nel percorso) e dei soccorsi (spesso affidati a personale improvvisato e con mezzi anteguerra) e anche per la fragilità delle moto (grippaggi motore, blocco del cambio, dei freni, telai e sospensioni inadatti ecc.), nonché per la lunghezza delle gare stesse, almeno il doppio di chilometraggio rispetto a quelle odierne.

Un cenno sui tracciati di oggi, disegnati e realizzati nella logica del grande stadio con visione quasi a 360° (per dare agli spettatori una visuale ottimale e il senso di massima partecipazione) e in quella delle piste da …go-kart (per abbassare la velocità media) anche se il proliferare delle varianti produce imbuti-tagliola e anche il rimbalzo di moto e piloti caduti in altre parti del circuito stesso con possibilità di venire investiti come birilli da altri concorrenti.

Ciò detto, è evidente che c’è una escalation nelle cadute, specie nelle categorie più combattute e in quelle dove l’età media dei piloti è più bassa e non sempre questi corridori-baby hanno esperienze tecniche e agonistiche adeguate, specie in gare internazionali. Le eccezioni confermano la regola.

Che succede? Sono questi i frutti di quanto è stato seminato negli ultimi anni nella logica del motociclismo show-business dove tutto è impostato per lo spettacolo trasformando sovente le competizioni di moto in una corsa di bighe al Colosseo, alla Ben-Hur, dove contano bagarre, sciabolate, sportellate, tiri mancini.

Questa strategia pro-business (imposta in primis dal promoter DORNA col placet dalla FIM e accettata dalle Case, dai Team e anche dai piloti perché produce visibilità, immagine, comunicazione, pubblicità, quindi soldi per tutti…) è basata su una impostazione tecnica differente dal passato. Per decenni, infatti, i costruttori progettavano e costruivano le loro moto con pochi vincoli regolamentari (cilindrata ecc.) e con l’obiettivo principale di “fare la differenza”, differenziandosi gli uni dagli altri per distanziarsi il più possibili ed essere vincenti. Da qui la ricerca della massima potenza dei motori per la massima velocità delle moto: quindi velocità di rotazione dei propulsori sempre più elevate, frazionamento dei motori, dal monocilindrico, al bicilindrico, al tre cilindri, quattro, cinque, sei e otto, in una rincorsa tecnica “carambola” quasi senza fine, anche economica.

Il pubblico si appassionava alla bagarre delle corse fra i piloti ma anche (molto!) alla Marca delle moto in pista e alle qualità e specificità tecniche. Oggi non è più così: dei tanti “sportivi” davanti alla tv chi sa davvero con quali moto corrono i propri beniamini e quali sono le caratteristiche tecniche dei loro bolidi? Le corse tirano pubblico interessato allo show della lotta in pista, a prescindere dal tipo di Marca della moto e della tecnica usata.

Una volta, dal rombo in pista – senza neppure guardare la corsa – si poteva capire chi c’era in testa e chi veniva dietro. Provate oggi a seguire la Moto3 dal vero e sentirete un unico “tuono”, praticamente motori… mono-rumore. Con le dovute differenze anche nelle altre categorie è lo stesso.

Perché? Perché – appunto – i regolamenti impongono questo “appiattimento” (per es. in Moto3 motori monocilindrici, tetto massimo dei giri, limitazioni fonometriche ecc., ma anche in MotoGP per non parlare della Moto2 monomarca ecc.): per il contenimento dei costi (si dice…) ma soprattutto per consentire la formazione di grupponi, avere gare combattute, show in pista, pubblico soddisfatto e contento di pagare l’obolo per il posto in tribuna sul circuito o per la pay-tv.

Tutto bene? Il fatto è che si è giunti al limite, forse vicini al punto di rottura. La Moto3 – piloti alla guida di moto sostanzialmente identiche sul piano progettuale e costruttivo – è oggi l’emblema di quanto stiamo sostenendo, una gara di alto contenuto agonistico ma ad … eliminazione, causa cadute.

Senza l’attuale livello di sicurezza dei circuiti (ma anche di caschi, tute ecc.) a metà campionato in gara ci sarebbero solo la … metà di partecipanti, con gli altri a casa o in ospedale. Che fare?

Si può lasciare tutto così, o peggio, e presto si vedranno le conseguenze (negative). Si può invece intervenire sui regolamenti, più aperti, per accentuare un po’ le differenze di prestazioni. Non a scapito dello spettacolo, ma della sicurezza, quindi delle corse stesse. Una rivoluzione? Sì, come altre volte in passato.

Per realizzarla serve una nuova “cultura” del motociclismo, specie dei media, volta a far capire al grande pubblico la “sostanza” delle corse, non solo l’apparenza. Un’opera … “pedagogica”, di orientamento, non semplice né breve. Ma prima si comincia è meglio è.

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