Home Amarcord, motomondiale: a fine ‘57 l’addio alle corse di Guzzi, Gilera, Mondial e il “dietrofront” della MV Agusta. Perché?

Amarcord, motomondiale: a fine ‘57 l’addio alle corse di Guzzi, Gilera, Mondial e il “dietrofront” della MV Agusta. Perché?

I “veri” motivi del forfait dalle corse delle grandi Case italiane

Il motomondiale si può dividere in due grandi fasi: quella dal dopoguerra al 1957 e il dopo 1957 senza più la partecipazione di Guzzi, Gilera, Mondial protagonisti dei primi nove anni iridati. A dire il vero, anche il 1958 fu dominato dall’industria italiana, ma da una sola Casa – la MV Agusta – che fece poker con Carlo Ubbiali nella 125, Tarquinio Provini nella 250 e con John Surtees nelle 350 e 500.

Plausi ma anche critiche al Conte Domenico Agusta accusato di “voltafaccia” avendo la marca di Cascina Costa prima deciso di sottoscrivere il “Patto dell’astensione” insieme alle altre tre grandi Case lombarde poi facendo dietrofront e continuando l’avventura delle corse – pur con la opportunistica copertura della dicitura “privat” – sfruttando la nuova situazione favorevole data dall’assenza di avversari adeguati, almeno per un po’. Così, sarà per almeno tre anni un campionato “monocolore” anche se, pur quasi abbandonato dai media e senza copertura televisiva, il motomondiale godrà tuttavia di un seguito e di una partecipazione significativi di appassionati in Italia e in Europa.

C’è comunque da dire grazie alla MV Agusta per non avere all’epoca abbandonato il campo cogliendo con le sue straordinarie moto e i suoi grandi campioni allori ovunque e tenendo alta la bandiera di quel che rimaneva del Made in Italy nel mondo, capace quanto meno di contenere e rallentare l’invasione “gialla”. E c’è da dir grazie ad altre Case italiane che, pur non sempre con “coerenza” tecnica e chiara visione strategica – soprattutto lasciate “sole” dalla FIM, dalla FMI e dal Governo nel cimento internazionale – si cimenteranno nelle competizioni rinverdendo il mito di “Davide contro Golia”: Benelli, Morini, Bianchi, Ducati, Aermacchi, Garelli, MotoBI, Rumi, Parilla ecc. su su fino ai nuovi arrivati quali Morbidelli, Mba, Minarelli, Malanca, Sanvenero e poi altri a cominciare dall’Aprilia, dalla Cagiva e quindi il rientro Ducati. Ma qui si entra nella cronaca odierna.

Torniamo al nocciolo della questione: perché la “fiocinata” di Guzzi, Gilera, Mondial che abbandonarono il campo dopo aver dominato? All’inizio, la motivazione verbale del forfait non convinse nessuno perché appariva palesemente una scusa: “Abbandoniamo le corse perché i regolamenti dal 1958 proibiscono le carenature integrali”. Una trovata maldestra che durò lo spazio di un amen. Così come non convinceva l’abbandono per mancanza di avversari.

Infatti, a mente fredda e con la penna in mano nel “Patto” del 26 settembre 1957 si scriveva: “ Le Case Moto Guzzi, Gilera, Mondial, al termine di una stagione sportiva di successi” ecc. ecc. “hanno preso in esame la situazione e le prospettive dell’attività sportiva del settore constatando: che le vittorie conquistate … non hanno avuto all’estero termini di confronto per l’assenza delle industrie di altri Paesi, mentre in Italia le competizioni si sono svolte in un clima di continue incertezze e difficoltà dovute a particolari orientamenti delle autorità e di talune sfere dell’opinione pubblica; che le prestazioni delle macchine da corsa hanno raggiunto oramai livelli di rendimento tali da rendere perplessi di fronte al rischio per i corridori ecc. ecc.; Le Case suddette pertanto si trovano d’accordo nel proposito di astenersi a partire dal 1958 fino ad eventuale altra decisione, dal partecipare sia direttamente sia indirettamente alle corse” ecc. ecc. Seguono il “ vivo rammarico” e i “ringraziamenti” di rito a piloti, tecnici, maestranze.

Che dire? E’ il solito refrain del politichese all’italiana. La decisione del forfait riflette una incapacità delle Case a interpretare la nuova realtà sociale italiana con il “miracolo economico”, chiuse in una visione provinciale non comprendendo la portata dei mercati internazionali, quello europeo e americano per primi. Invece di rapportarsi al nuovo e ai nuovi possibili mercati – vere e proprie praterie da pascolare – e cavalcare l’onda di una maggior disponibilità della gente (anche in Italia) a spendere anche rispondendo alle esigenze di mobilità per lavoro e per svago le Case motociclistiche ritennero di fatto chiuso il ciclo di espansione della motocicletta, considerato solo come mezzo di trasporto “povero” per “poveri”, sostituito oramai dall’automobile utilitaria quali le Fiat 600 e 500.

L’auto invadeva il mercato ma non “copriva” lo spazio della moto nelle sue varie declinazioni: ciclomotori e scooter come mezzo ultra utilitario di trasporto personale specie per recarsi al lavoro muovendosi anche meglio nel traffico già in aumento, e motociclette di livello superiore come mezzo di divertimento, sportivo, di identificazione per la scalata sociale e per i giovani. Serviva anche una svolta tecnica con l’immissione di nuovi modelli che invece rimasero sulla carta. C’è da ricordare anche che una 500 Fiat costava l’equivalente di 12 mensilità di un operaio ma poteva essere acquistata facilmente a rate mensili, mentre una Gilera Saturno 500 monocilindrica costava quanto l’utilitaria Fiat e di solito si comparava solo in contanti o con una montagna di cambiali.

C’era un netto divario fra la moto da corsa, raffinatissima e di forte appeal sotto ogni profilo, e il prodotto di serie, per lo più antiquato e poco affidabile. La nostre Case inventarono nell’ante guerra il “quattro cilindri” da corsa ma lasciarono alla Honda la… “mossa” della prima plurifrazionata di serie 750 poi 500, gioielli in tutti i sensi che invasero i mercati per la loro superiorità.

Ci fu indubbiamente da parte delle nostre Case una visione miope e una voglia frettolosa di chiuderla con le corse e anche con le moto. La dimostrazione di questo errore la daranno di là a poco le Case del Sol Levante, iniziando dalla Honda che entrò nel Motomondiale nel 1959 anticipando grandi successi – tutt’ora in pieno svolgimento – in pista e nei mercati. Le Case italiane erano pur coscienti della funzione delle corse come eccellente banco di prova tecnico e come promoter di immagine e di comunicazione della Marca. Il problema era un altro: le nostre grandi Case – pochissime le eccezioni – pensavano che la motocicletta fosse un mezzo superato e non avesse futuro. Altro che investimenti nelle corse!

Già, le corse, con le gioie e i dolori. Si era giunti, per l’insipienza della FIM, a una esasperazione tecnica e tecnologica – di fatto, a parte la cilindrata, c’era sostanzialmente una completa libertà di azione nella progettualità – con le moto sempre più potenti e veloci e quindi sempre più pericolose dati i circuiti dell’epoca con conseguenze pesantissime sui costi di progettazione e sviluppo. Va ricordato che il ’57 fu – dopo l’ultima tragedia delle Mille Miglia – anche l’anno della proibizione delle grandi corse automobilistiche e motociclistiche su strada cancellando in un sol colpo la Milano-Taranto e il Giro d’Italia che tanto avevano dato alla diffusione delle moto e alle corse con decine e decine di circuiti cittadini in numerose città strapiene di tifosi che poi diventavano utenti. Da ciò la serrata competizione e un fermento tecnico di straordinario valore e di straordinari … costi.

Una Casa come la Guzzi progettava e produceva motori da corsa a 1 cilindro, 2 cilindri, 3 cilindri, 4 cilindri, 8 cilindri. Le altre Case, più o meno, facevano altrettanto. Era una battaglia senza esclusioni di colpi che però succhiava le risorse aziendali sempre più esigue per il restringimento del mercato. In altre parole erano i ricavi derivanti dalla vendita delle moto di serie a finanziare le corse dell’azienda. Non c’era l’ausilio di sponsor e la Casa pagava tutto di tasca propria, fino al carburante per correre!

Non solo. Il reparto corsa aveva continuamente esigenze pressanti dovendo realizzare nuovi pezzi che venivano costruiti all’interno con le macchine utensili della stessa fabbrica bloccando quasi quotidianamente la produzione di serie. I migliori progettisti, tecnici, meccanici aziendali lavoravano nel reparto corsa. La inedita “galleria del vento” – la prima al mondo – costruita dalla Guzzi nel 1950 è un esempio di straordinaria capacità tecnica e straordinaria lungimiranza strategica. L’impegno era presso che totale.

La stessa dirigenza, spesso dal proprietario in giù, dedicava la maggior parte del proprio tempo dietro alle corse lasciando la produzione di serie in secondo piano. La MV Agusta era una eccezione, poco interessata alla produzione di serie, con i suoi bolidi che potevano essere progettati e realizzati grazie allo staff tecnico della Agusta aeronautica (elicotteri) e ai proventi (elevati) di quel segmento aziendale. In tale quadro le corse diventavano un lusso anche per grandi Case, le vittorie non avevano (più) una ricaduta diretta sulle vendite, non erano (più) il valore aggiunto ma un cappio al collo che stringeva sempre più. Questa, almeno, la valutazione di Guzzi, Gilera, Mondial che le portò all’addio alle corse. Ma resta, quanto meno, il dubbio.

Furono davvero le competizioni-mangiasoldi a mettere in crisi Gilera, Guzzi, Mondial? No. Fu l’incapacità ad adeguare il prodotto alle nuove realtà dei mercati e a non comprendere appieno il valore delle corse anche come strumento “acchiappa-soldi”. Invece di rilanciare innovando si è deciso di sedersi, tagliando il ramo che più stimolava la pianta a dare frutti migliori. E’ un po’ il gatto che si morde la coda. Fra (pochi) alti e (molti) bassi, da allora la risalita della “scuola italiana” è stata tentata molte volte. Ma quei limiti pesano ancora oggi. Non solo a danno delle corse e del motociclismo. Non si vive di soli ricordi. Gli assenti hanno sempre torto.

Due domande finali. La prima: cosa sarebbe oggi la Ferrari se avesse abbandonato le corse di F1? La seconda: cosa sarebbero oggi Honda, Yamaha, Suzuki se anni fa avessero siglato il loro “patto di astensione”?

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