Home Piloti con la “valigia”: sono la norma, non l’eccezione! Ma è il “manico” a fare la differenza

Piloti con la “valigia”: sono la norma, non l’eccezione! Ma è il “manico” a fare la differenza

Nelle corse, da sempre, si parla di piloti con la valigia, cioè che pagano per correre. Ecco come stanno le cose

Partiamo a bruciapelo: nel CEV 2016 che si è chiuso nel weekend a Valencia con Lorenzo dalla Porta iridato junior Moto3 ci sono i piloti con la “valigia”, quelli che pagano per correre? E nel Mondiale? E nel CIV tricolore?

Risposta: senza i piloti con la valigia, pur con pesi diversi e in percentuali diverse, nessuno di questi tre campionati (in ogni categoria) – idem per la SBK – oggi esisterebbe, quanto meno non così. I Team in attività senza l’apporto economico dei piloti sono eccezioni, di fatto sono esclusivamente quelli legati alle Case ufficiali. La stragrande maggioranza dei piloti corre solo se porta la dote al Team.

Non paga solo chi dimostra di essere subito molto competitivo – meglio se vincente – considerato promessa “garantita”. Poi, lo stesso ragazzo-“fenomeno” a mano a mano che cresce (se cresce) inizia a percepire un compenso in relazione ai risultati. Le prime due-tre file dei piloti MotoGP sono la punta di diamante della piramide e solamente i “Tre moschettieri” diventano un pozzo di… San Patrizio. Parafrasando Gianni Morandi: “Uno su mille ce la fa”. Forse meno.

Un meccanismo di questo tipo crea, evidentemente, contraddizioni e incide sulla selezione dei piloti nonché sui risultati di gare e campionati. Ma fino a un certo punto. Un brocco milionario resta brocco (non facciamo nomi…), un fenomeno miliardario diventa un campionissimo (tipo Mike Hailwood, che sarebbe diventato tale anche se squattrinato…) e la terza evenienza la lasciamo ai nostri lettori perché è la classica via di mezzo, quella più affollata.

Da ciò si capisce quanto il motociclismo sia complesso e non certo privo di contraddizioni e di verità anche scomode: sport, oltre che (molto) rischioso, anche (molto) costoso. E più si sale costa, ma costa tanto (troppo!) anche nei primi gradini dei campionati minori, falcidiando sul nascere proprio il vivaio, senza il quale non c’è futuro. Non solo.

Il Team ha bisogno di soldi ma anche (e soprattutto) di talenti. Chi scegliere fra un pilota con la valigia piena ma “scarso” che dopo una stagione tribolata viene cacciato e un altro squattrinato ma gran “manico” che potrebbe in futuro portare benefici, anche economici, al Team? Il dilemma è se accontentarsi dell’uovo oggi rinunciando magari alla gallina domani. Il problema sta alla radice e riguarda tutta la filiera della gestione delle corse, a cominciare dalle Case, dalla Fim e Fmi, dalla Dorna ecc. Qui ci limitiamo a dire che non è sempre stato così.

C’è differenza fra oggi e il passato quando i corridori potevano fare i “primi passi” (all’epoca comunque sempre sopra i 18 anni) nelle categorie nazionali juniores con moto derivate di serie (Morini, Aermacchi, MotoBi, Benelli, Bianchi, Ducati, Rumi, Parilla ecc.) poco costose, semplici da gestire. Idem per i trofei monomarca. Anche fra i seniores si poteva gareggiare onorevolmente da “privat” con moto dai costi modesti o abbordabili: Norton e Gilera 500, Aermacchi 125, 250 e 350, Ducati 125, 250, 350, poi Morbidelli e Mba 125, quindi Yamaha 250 e 350, Suzuki 500, successivamente Aprilia 125 e 250, ecc.).

Senza passione e senza talento non si sfonda ma oggi senza un bel gruzzolo non si può neppure partecipare alle prime garette in minimoto, figurarsi più su dove servono una moto e una struttura tecnica adeguate al tipo di campionato e alle proprie… ambizioni. Nei primi anni ’70 la moto da sogno per un pilota “privat” con ambizioni era la Yamaha 250 GP bicilindrica 2 tempi, da seconda fila nel campionato italiano velocità seniores, (anche da prima fila col manico giusto), costava circa due milioni di lire. Il corridore se la portava in circuito su un carrellino scoperto trainato dalla propria auto e il meccanico di solito era la propria fidanzata-moglie o l’amico nullafacente del bar sotto casa dove ogni volta si raccattava una modesta colletta per le spese all’osso del viaggio-vitto-alloggio più qualche ricambio (candele, maglie-catena, getti, cupolino in caso di caduta lieve ecc.), con quattro gomme si faceva tutto il campionato, idem per freni ecc.

In quegli anni – siamo ancora in piena era Agostini – gli italiani nel mondiale si contavano sulle dita di una mano e ancor meno erano quelli con ingaggi dalle Case e con regolare contratto. Anche assi consacrati (non facciamo nomi per carità di patria…) correvano gratis pur di avere la moto ufficiale. La diaria data dagli organizzatori ai piloti non copriva le spese per la benzina del viaggio e i premi gara erano insignificanti. Ai big – nelle gare internazionali extra mondiale tipo la “Mototemporada” italiana – venivano offerti ingaggi, appetibili solo per Agostini e per 2-3 stranieri. Quel mondo, tutt’altro che un paradiso, non c’è più e indietro non si torna.

Oggi, ad esempio, per partecipare con un solo pilota nel CIV Moto3 (prendiamo questa categoria perché qui ci sono giovani di 15-16 anni poi su fino ai 20 anni e perché si corre con moto prototipi 250 mono GP), serve un Team attrezzato, di almeno 3-4 persone specializzate e pagate (telemetrista, tecnico sospensioni, motorista, addetto comunicazione ecc.), con moto al top su cui si lavora non solo nel weekend di gara, con trasferte sui circuiti di Misano, Imola, Vallelunga, Mugello.

Un Team è una azienda a tutti gli effetti e deve far quadrare i conti, altrimenti chiude. Quindi il pilota entra nel Team solo con la valigia, in questo caso del CIV Moto3, con circa 100 mila auro (da 70-90 a 120-140 mila) per la stagione “tricolore”. Ovvio che i costi aumentano non di poco partecipando al CEV (oltre 150 mila euro per pilota) e diventano cifre da capogiro (oltre 300 mila) per il Mondiale. La valigia del pilota è solo una parte delle entrate per il Team.

Il famoso budget necessario per correre esce dal mercato, sponsor compresi, ma non solo: nel mondiale la grossa torta Dorna è divisa fra i Team grazie ai grandi introiti dei diritti televisivi. Più scendi di campionato e meno numerosi e munifici sono gli sponsor e i diritti tv scompaiono. Non sono pochi nell’ambiente gli imbonitori, i tuttologhi, chi fa delle corse un limone da spremere per propri interessi, non sempre legittimi e legali. E’ un discorso complesso, con il classico cane che si morde la coda.

Ecco perché al pilotino di 15-16 anni di buone promesse servono tanti soldi per fare “solo” il CIV Moto3, il primo vero banco di prova per il primo salto di qualità. Ecco, appunto, sin dall’inizio, il “pilota con la valigia”. Quei soldi, specie nei primi anni, provengono in (gran) parte dalla famiglia, in parte da amici, in parte da sponsor.

La valigia robusta aiuta il pilota a compiere meglio e più in fretta i primi gradini della carriera. Ma la valigia “gonfia” non garantisce la via del successo. E’ il manico che fa la differenza! In pista c’è il fuoriclasse, c’è il campione, c’è il buon pilota, c’è la schiappa. Tutti i piloti vogliono gareggiare e primeggiare, puntando al podio, alla vittoria: ma vince uno solo. Di solito non è quello che ha portato la valigia coi soldi.

vignetta | Luca Ruggeri

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