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Motomondiale, meglio una volta con la RAI o adesso con la Pay-tv?

Motomondiale, era meglio una volta con la RAI oppure adesso con la Pay-tv?

Motomondiale – A caval donato non si guarda in bocca e per decenni nessuno ha mai protestato per la copertura del Motomondiale fatta (gratis) dalla Rai, con una sola gara in diretta, il GP d’Italia a Monza, con una telecamera unica sulla linea di partenza. Quando il 20 maggio 1973 ci fu al curvone la tragica caduta di Pasolini e Saarinen non solo non ci furono immagini perché sul posto non c’erano telecamere ma il “povero” telecronista – per altro grande appassionato, ottimo giornalista e gentleman – Mario Poltronieri (che nella foto intervista Mario Lega, campione del mondo della classe 250) dovette arrampicarsi sugli specchi per oltre un’ora. Oggi la tv a pagamento viene intesa dai più come tassa sul “macinato” ma, a parte questo non piccolo gap che arroventa le polemiche e limita l’audience, non c’è dubbio che la copertura del Motomondiale è assicurata egregiamente e con una qualità tecnica elevata.

Non ci riferiamo alle cronache e ai commenti dei telecronisti verso i quali, legittimamente, i “pro” e i “contro” si sprecano (personalmente ritengo Guido Meda un ottimo conoscitore dei new media e un interprete intelligente del mezzo televisivo, abile commentatore, pur se con evitabili “eccessi di zelo” pro Valentino & C.), ma al fatto che chiunque – sborsato l’obolo – può assistere da casa (o da dove vuole) alle corse del Motomondiale, prove e qualifiche comprese. Le riprese godono dei più sofisticati mezzi tecnici e tecnologici, con apparati giganteschi, e da questo punto di vista indubbiamente il salto in avanti è stato straordinario.

Il motociclismo è sport difficile anche da riprendere televisivamente: per le elevate velocità e la particolarità delle “pieghe”, per gap tecnici tutt’ora presenti quali ad esempio l’appiattimento rispetto alle reali dimensioni dei tracciati di gara, alle loro altimetrie, e soprattutto alla difficoltà di rendere la velocità più realistica possibile. Il motociclismo è sport complesso, va raccontato ma anche interpretato sul piano agonistico e tecnico nonchè su quello umano, specie per i rischi che contiene. I protagonisti, i piloti, sono uomini in carne e ossa, non virtuali, non centauri “svitati” come si diceva una volta, sono grandi atleti pronti a giocarsi la pelle per conquistare al tempo una manciata di millesimi di secondo.

Scriveva Ezio Pirazzini, l’indimenticabile amico giornalista: “Dobbiamo ammirarli questi ragazzi, questi uomini, se non altro perché non tradiscono la loro fede”. Già. Ma l’informazione la rispetta sempre questa passione tradotta in fede o oggi la strumentalizza per la lotta fra gruppi televisivi e mediatici, per animare le logiche dei fan, con l’unico obiettivo di cercare l’audience, acquisire sponsor, fare soldi? Torniamo alla realtà, con il motociclismo oggi sport di massa assai considerato e – pur fra mille smagliature e contraddizioni – economicamente “ricco” (da qui la copertura televisiva e mass mediatica) perchè assai seguito soprattutto nell’ultimo decennio poco più, cioè dall’era di Valentino Rossi “imperatore”. Siamo alla solita storia: il gatto che si morde la coda.

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E’ Rossi che tiene in piedi l’ambaradan grazie al tam tam mediatico o viceversa? In medio stat virtus. Dare a Rossi quel che è di Rossi e ai media (alla tv e a internet) quel che va dato alla rivoluzione della comunicazione. La controprova? Decine di milioni di italiani (centinaia di milioni ovunque nel mondo) hanno visto e vedono le gesta di Valentino in corsa (e dei suoi avversari) in tv o su internet. Era così anche per un’altra star del motociclismo, il 15 volte campione del Mondo Giacomo Agostini? No. Perché il motomondiale negli anni ‘60 e ‘70 non aveva la diretta televisiva e i grandi giornali, senza neppure inviati, snobbavano le corse. Gli appassionati (pochi), la domenica delle gare, ascoltavano la radio sperando almeno in una notizia su chi aveva vinto. In precedenza, negli anni ’50 quel poco che si sapeva derivava dai giornali, con grande ritardo e con due righe nelle brevi. Due parole nel rapporto motociclismo e altri sport.

Chi si ricorda che in Italia nell’immediato dopoguerra gli sport più popolari erano il ciclismo, il pugilato, l’automobilismo? Che le grandi imprese di Binda e poi di Bartali e Coppi (ciclismo), di Nuvolari (auto e moto), di Carnera (pugilato) le avevano viste dal vero solo pochi “eletti” mancando la televisione, lo strumento che poi rivoluzionò lo sport e il rapporto fra evento sportivo e il grande pubblico? Come già detto sopra, gli appassionati leggevano (poco) i giornali e ascoltavano (di più) la radio e da questi due strumenti traevano le (poche) informazioni sugli eventi. Si conosceva meno ma si sognava di più liberando la fantasia di ognuno come nella mitica frase radiofonica di Mario Ferretti: “Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi!”

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Allora il giornalista stava “dentro” la competizione (ad esempio nel ciclismo saliva su una moto e si metteva accanto al corridore in fuga). Nel motociclismo, il sottoscritto alla fine degli anni ’60 e negli anni ’70 seguiva le corse di moto piazzandosi in curva accanto ai fotografi, sfiorando i corridori, snobbando (ahi!ahi!) la sala stampa che all’epoca era posta in una tribunetta mal coperta fatta con tubi innocenti e poche tavole con un solo telefono per tutti… , mentre oggi i giornalisti di qualsiasi sport stanno comodamente in sala stampa e vedono dai monitor esattamente quel che ogni telespettatore vede dalla televisione di casa propria o da uno smartphone. Anche nel motociclismo oggi quasi tutta l’informazione è “filtrata” attraverso uffici stampa, comunicati e anche conferenze stampa… a freddo. Una volta con i piloti si dialogava, a caldo, prima della partenza o subito dopo la corsa, mentre smadonnavano per la sconfitta o mentre s’attaccavano a un bottiglione di Sangiovese o di Lambrusco per festeggiare la vittoria.

Nessuna retorica, per carità. Ma c’era una informazione più diretta e di qualità (chi scriveva veniva dalla gavetta e aveva passato una selezione non basata su canoni … estetici e/o …) e addirittura il grande sport (anche quello del motore) finiva pure in “terza pagina” nei grandi quotidiani, cioè la pagina culturale, quella dove scrivevano solo grandi firme. Il mitico giornalista Gianni Brera, nel 1970, mi disse un giorno a Bologna nella sede di Autosprint-Motosprint che lui non seguiva più il motociclismo perché i piloti non avevano più… stile. Chissà se “Giuanin” vedesse oggi Valentino Rossi in staccata con la… gamba a penzoloni! Chiudiamo qui.

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Niente è perfetto e tutto si può sempre migliorare. Ma mai come oggi chi ama il motociclismo può vivere la passione delle corse anche lontano dai circuiti, davanti a una tv, a un telefonino, a un pc. Sembra poco? La polemica pro o contro Rai, Sky, Mediaset ecc. lascia il tempo che trova: contano le persone, la competenza, la professionalità, l’equilibrio e l’autonomia di giudizio, il rispetto sia verso i protagonisti (i piloti in primis) che verso gli spettatori (sui circuiti o davanti alla tv o a un telefonino), i veri “proprietari” del giocattolo, senza i quali il Circus svanirebbe.

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