Home Amarcord, quando i test invernali erano … dietro casa

Amarcord, quando i test invernali erano … dietro casa

Ancora un paragone con il passato riguardante le corse in moto. Il tema questa volta sono i test invernali…

Fra pochi giorni, in vista della stagione 2015, la parola torna alla pista con l’inizio dei test di numerosi Team del mondiale SBK (start iridato 22 febbraio a Phillip Island) e, ai primi di febbraio, con la MotoGP (prima gara Losail 29 marzo) impegnati in due sessioni a Sepang (4-7 febbraio e 23-26 febbraio), poi in Qatar (6-9 marzo o 13-16 marzo).

Altri Team con i rispettivi piloti di altri campionati (mondialino ex Cev e tricolore Civ ecc.) effettueranno prove “private” a gennaio e a febbraio, soprattutto nei numerosi e adeguati circuiti spagnoli, di solito baciati dal sole e da temperature miti.

Negli ultimi anni il motociclismo da corsa chiude la breve parentesi invernale già a gennaio e febbraio con test utili per saggiare lo sviluppo delle nuove moto, per rodare i nuovi abbinamenti piloti-team-Case, per una prima verifica sul livello di competitività fra i vari protagonisti che si sfideranno poi, poche settimane avanti, nei vari campionati.

Oggi è così ma ieri – di fatto fino al motomondiale Made in Dorna, ma specificatamente dal dopoguerra fino agli anni ’80 – le cose andavano diversamente e anche le corse seguivano l’iter delle stagioni con l’implacabile inverno che teneva le moto chiuse nei reparti corsa delle Case o nei garage e scantinati dei piloti privati.

Confidando nella clemenza del meteo, già a fine gennaio e/o a febbraio, i più ardimentosi cercavano un circuito per togliersi di dosso la ruggine invernale o, più spartanamente, cercavano un pezzo di strada (di solito aperta al traffico) per salire sulla rombante cavalcatura, con tanto di codazzo di aficionados, infreddoliti ma festanti. Ripetiamo: erano altri tempi, lo stesso motomondiale si effettuava esclusivamente in Europa (solo dal 1961 ci fu l’eccezione del GP d’Argentina, dal 1963 del GP del Giappone e dal 1964 del GP Usa a Daytona) e non esistevano autodromi extraeuropei e anche il GP di Spagna si disputava al Montjuic, cioè su un tracciato cittadino del parco di Barcellona.

In Italia gli autodromi permanenti erano solo tre: Monza, Modena (in condivisione con gli … aerei), Vallelunga. Imola non era agibile fuori dalle corse titolate, Enna era troppo fatiscente e … distante. Il clima rendeva inagibile il grande autodromo brianzolo per tutto l’inverno (alle curve di Lesmo, brina e ghiaccio da dicembre a febbraio) e le basse temperature e i nebbioni padani rendevano non fruibile per gli stessi mesi il circuito emiliano della Ghirlandina. Poco utilizzato, se non dai (pochi) piloti di casa, l’impianto capitolino, a corte di manutenzione e ad alto rischio (guard rail, curva Roma da… gancio ecc.).

Allora? La MV Agusta nelle brume invernali lanciava i suoi bolidi sui rettifili dietro i propri stabilimenti di Cascina Costa, limitrofi all’aeroporto di Malpensa. La Benelli si trasferiva sulla fettuccia pesarese di Pozzo Basso (zona pianeggiante sotto Tavullia) facendo provare ai suoi piloti le moto da competizione in mezzo al traffico (allora modesto) e soprattutto in mezzo al nugolo di impavidi ed elettrizzati tifosi.

La Casa pesarese utilizzava (con Silvio Grassetti, Tarquinio Provini, Renzo Pasolini) anche pezzi di autostrada della A 14 allora in costruzione e prima di ogni uscita scaldava i suoi prototipi sulla mini pista interna con la curva rialzata.

La Morbidelli provava (con Ringhini, Lazzarini, Ieva, Pileri, Bianchi, poi con Graziano Rossi, Nieto ecc.) sulla Panoramica del Colle San Bartolo, in uno scenario favoloso a strapiombo dell’Adriatico “che verde era come i pascoli dei monti”.

Quando il meteo e il calendario lo consentivano, Case e piloti privati si riversavano a Modena, dove peraltro spesso stazionava la Ferrari con i suoi bolidi di Formula uno e del Mondiale Marche. C’era anche cameratismo fra “quattro” e “due” ruote: chi scrive queste note ricorda un tribolato e nebbioso test modenese del febbraio 1970 con l’amico pilota pesarese Lino Lucchetti (Il postino volante) ai primi giri con la sibilante Yamaha 250 GP 2 cilindri 2 T appena acquistata lira-su-lira dal senior bresciano Giuseppe Visenzi (all’epoca in Italia solo tre piloti disponevano di tale ben di Dio: Grassetti, Parlotti, Anelli), subito ko per grippaggio del bicilindrico nipponico ma con l’onore di prestare all’Ing Mauro Forghieri capo della Ferrari corse una umile … cartavetrata utile per sbloccare i carburatori inumiditi dei 12 cilindri di Jacky Ickx e Mike Parkes…

Spesso, da Pesaro e non solo, si marinava la scuola per approdare a Modena (in treno, ma anche col 48 e le tasche piene di candele) e attendere dai muri di cinta dell’autodromo l’arrivo dei propri beniamini e dei loro bolidi.

La Morini privilegiava Vallelunga e lì, ad esempio, ci fu nel febbraio 1964 il primo test della nuova coppia Agostini-Grassetti sulle 250 GP mono bialbero ex Provini passato alla Benelli.

Tutti i piloti, big compresi, provavano moto da corsa (Silvio Grassetti lanciava la sua Bianchi 500 GP bicilindrica 4 T nei rettifili della Piana del Bruscolo) o di serie iper truccate sulle strade normali, specie sui tornanti marchigiani-romagnoli (Pasolini, Grassetti, Lazzarini, Rossi G. ecc.), su quelli umbri (Liberati, Venturi ecc.) o su quelli lombardi (Agostini, Bergamonti, Pagani ecc.), o su quelli liguri (Ballestrieri, Bertarelli, Gallina, Burlando, Lucchinelli, Toracca ecc.).

Molti gli incidenti e qui ricordo la perdita di un amico 18enne scomparso nel febbraio 1969 con la MotoBi 250 a Santo Stefano di Garifa, fra Urbino e Fossombrone, Sandrino Cinelli, più che una promessa, già un campione.

Ogni Casa e ogni pilota aveva comunque il “suo” chilometro per provare l’ultima modifica prima delle corse. Alti i rischi e scarsa l’utilità. Qui solo pochi cenni per ricordare un’epoca del motociclismo de “I giorni del coraggio”, appassionata e appassionante, definitivamente scomparsa. Per fortuna.

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