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Amarcord: Yamaha RD 350

Con un certo timore reverenziale affrontiamo su Amarcord una delle moto mitiche che spopolavano negli anni Ottanta e non solo, la Yamaha RD 350. Ci limiteremo a prendere in considerazione il solo mercato italiano e la sola cilindrata 350, dato che nel corso della sua carriera la RD, commercializzata in Giappone e Stati uniti con la sigla RZ, è stata allestita anche nelle cilindrate 125, 200, 250 e 400, che invece non si sono mai viste ufficialmente in Italia.


Nel 1973, poco dopo il suo debutto, la RD 350 (sigla che stava per Race Developed) fece la sua comparsa anche sul mercato italiano, seppur con numeri modesti, dovuti al contingentamento delle moto di produzione estera al di sotto dei 380 cc. Per un altro motivo sempre di ordine legislativo, la RD divenne però un sogno per i diciottenni dell’epoca, che potevano guidare solo motocicli con una cilindrata massima di 350 cc fino al compimento dei 21 anni, limite che rimase anche dopo la legge n. 39 dell’8 marzo 1975 che stabiliva la maggiore età a 18 anni, mentre fino ad allora era di 21.

Ultimo motivo “esterno” anche la “rapina legalizzata” dell’IVA al 38%, a partire dal 1976, che gravò sempre sui motocicli con cilindrata superiore a 350 cc per quasi vent’anni, fino al 1994. Detto questo, i motivi del successo di questo modello non stanno ovviamente solo nella sua cilindrata.

Sulla prima serie, che in realtà comprendeva la RD 350A e la RD 350B, che arrivò due anni dopo, il motore bicilindrico a due tempi, raffreddato ad aria, aveva una cilindrata totale di 347 cc (alesaggio 64 mm x corsa 54 mm) che, grazie all’alimentazione a “miscela” sbaragliò la concorrenza a quattro tempi (Honda CB 350, Moto Guzzi V35 e altre) sviluppando una potenza di 39 CV a 7500 giri e una coppia massima di 3,8 kgm a 7000 giri. Era alimentato da due carburatori Mikuni 28 SC e dotato di miscelatore separato, con serbatoio dell’olio di due litri. L’avviamento era solo a pedale, e così rimase per sempre.

Il cambio nella versione importata in Italia era solo a cinque marce, per motivi legislativi dell’epoca, mentre sui modelli destinati ad altri mercati era disponibile anche con sei rapporti. Il sito rdseries.it, punto di riferimento ufficiale per questo modello, descrive l’operazione che veniva fatta dall’importatore “parallelo” dell’epoca (Italjet) per ridurre di un rapporto il cambio, tramite un semplice nottolino che impediva l’inserimento della sesta marcia e che poteva essere tolto con un semplice intervento in qualsiasi officina, ripristinando così l’originario (ma illegale all’epoca) cambio a sei marce.

La ciclistica si componeva di un telaio a doppia culla chiusa in tubi d’acciaio con forcella da 117 mm d’escursione davanti e forcellone oscillante con coppia di ammortizzatori idraulici regolabili su tre posizioni, con 69 mm d’escursione, dietro. Le ruote erano entrambe da 18 pollici a raggi e montavano stretti pneumatici 3.00 davanti e 3.50 dietro.

L’impianto frenante era dotato di disco anteriore da 267 mm e tamburo posteriore. Le dimensioni erano piuttosto contenute: poco più di due metri di lunghezza (2.040 mm), con interasse di soli 1.320 mm, larghezza di 835 mm e peso di 143 kg.

Il serbatoio conteneva 16 litri di carburante, mentre le prestazioni per l’epoca erano decisamente le migliori per quella cilindrata: la velocità massima era infatti di 160 km/h. Sempre il sito di RD Series Club fornisce anche il prezzo nel 1975: 1.300.000 lire, una bella cifretta per l’epoca, ma neppure troppo onerosa, considerando che questo valore, rivalutato ai giorni nostri, è pari a poco meno di 7.000 euro.

Nel 1979 venne presentata la seconda serie, la RD 350LC (Race Developed Liquid Cooled) con sigla telaio 4L0, che entrò in commercio l’anno successivo. Ancora senza valvola YPVS, che arriverà alcuni anni dopo, ma con il raffreddamento a liquido e un look decisamente più sportivo.

Le colorazioni disponibili erano con fregi blu/azzurro o rossi/arancio su fondo bianco, oppure, dal 1981, nera con fregi rossi/arancio, mentre nell’82 verrà proposta la versione blu con fregi bianco/grigio. Sempre dal 1981 la moto iniziò a essere importata ufficialmente dalla Belgarda.

Il motore, ora alimentato da due carburatori Mikuni da 26 mm, crebbe di potenza e coppia fino a 47 CV a 8.500 giri 4,1 kgm a 8.000 giri e anche il cambio a sei marce divenne standard, mentre la velocità massima dichiarata arrivò a 190 km/h. Fulminea l’accelerazione, 13,8 secondi per percorrere da fermo i 400 metri, grazie anche a un peso di 139 kg.

A livello ciclistico si segnalano i cerchi in lega da 18”, il monoammortizzatore posteriore, la forcella da 32 mm, il doppio disco anteriore sempre da 267 mm, contrapposto al tamburo posteriore da 160 mm, mentre il telaio era più lungo di circa 2,5 cm, modifica che comportò anche l’aumento della lunghezza complessiva (2.085 mm) e di quella dell’interasse (1.365 mm). Vale la pena citare una versione speciale di questo modello, che però non era destinata al mercato italiano: si tratta della RZ 350LC YSP (Yamaha Sport Plaza) Limited Edition venduta solo in Giappone e caratterizzata dalla livrea rossa.

Nell’83 arrivò poi la terza serie, siglata 31K, anche se mutò pure il nome “commerciale”, con l’aggiunta della mitica sigla YPVS (Yamaha Power Valve System), Questo modello infatti, tra le varie migliorie, vantava la valvola parzializzatrice allo scarico. Il motore erogava 59 CV a 9.000 giri e 4,8 kgm a 8.500 giri.

A livello ciclistico invece arrivò il disco posteriore da 267 mm, più una serie di migliorie alle sospensioni, mentre i cerchi, sempre da 18” con canali da 2.15 davanti e 2.50 dietro, montavano pneumatici 90/90 e 110/80. L’RD diventò ancora più “lungo” per ovviare ad alcune “pecche” ciclistiche che in realtà non furono mai del tutto risolte, tanto che anche questa moto, al pari di altre belve a due tempi, si guadagnò presto il soprannome di “bara volante”.

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Le nuove misure erano: lunghezza 2.095 mm, interasse 1.385 mm, altezza sella 800 mm, peso a secco 165 kg, mentre la velocità massima superava i 190 km/h. A livello estetico numerose modifiche, tra cui un nuovo serbatoio da 20 litri e un cupolino anteriore accoppiato al puntale inferiore, che erano già disponibili come optional sul modello 4L0.

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Le colorazioni erano sempre tre: bianca con fregi rossi o blu, oppure nera con fregi rossi. Anche se si tratta di una versione destinata al mercato americano, merita una menzione anche la bellissima RZ 350 Kenny Roberts del 1983, caratterizzata dalla livrea gialla, che fu prodotta però nel 1984 anche con la colorazione tradizionale della versione “base”, rispetto alla quale si distingueva però per la firma del campione californiano sul cupolino.

Nel 1985 , contestualmente all’entrata in produzione della RD 500 LC, arrivò finalmente la carenatura integrale, sulla versione 350F 57V, che adottava per la prima volta il faro quadrato. Nello stesso anno venne realizzata anche la 350N (con sigla 1JF), dove la N stava per naked, quindi priva di carenatura e con faro rotondo.

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Questa serie, nonostante un enorme successo (ancora oggi è una delle versioni più ricercate) non durò a lungo, infatti l’anno successivo arrivò la RD 350F2 serie 1WT che, insieme alla 57V, fu una delle più amate dal pubblico italiano. L’estetica mutò in maniera abbastanza netta ma senza stravolgerne le apprezzabili linee.

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Tra le modifiche principali carena, sella e codino ridisegnati, il serbatoio da 17 litri, gli scarichi con terminali cromati anziché neri a sigaro, il maniglione del passeggero nero anziché cromato e molto altro ancora. Il motore raggiunse la potenza massima di 60 CV a 9.000 giri, mentre la coppia massima di 5 kgm era erogata allo stesso regime, dato che faceva capire chiaramente il carattere della piccola belva.

Le colorazioni disponibili per questa versione (che per i puristi di questo modello fu l’ultima) erano il bianco/rosso e il nero/rosso, cui si aggiunse una bellissima, e piuttosto rara, colorazione replica Sonauto blu e gialla. Anche questo modello era disponibile in versione nuda con faro tondo ma solo in alcuni paesi, tra cui non era compresa l’Italia. In quell’anno venne istituito anche in Italia il campionato monomarca che già aveva riscosso successo all’estero, soprattutto in Francia.

Anche questa serie purtroppo venne sostituita nel 1988 dalla RD 350F2 siglata 2UA esteticamente identica ma prodotta negli stabilimenti brasiliani Yamaha Motor da Amazonia di Manaus che aveva finiture decisamente inferiori, oltre che un libretto di manutenzione scritto in modo piuttosto “fantasioso”. Su questa versione venne mantenuta la colorazione bianco/rossa a cui se ne aggiunse un’altra inedita con le stesse tinte ma una grafica differente con fregi blu, che venne adottata anche sulla colorazione nera/rossa, con fregi grigi.

La saga della RD non era ancora finita. Seguendo la moda del momento, lanciata dalla varie Aprilia, Gilera e anche da moto giapponesi di grossa cilindrata, nel 1992 il canto del cigno di questo modello fu rappresentato dalla RD 350R (sigla telaio 4CE) dotata di carenatura con doppio faro e sempre costruita in Brasile, ma ormai l’epoca del due tempi sembrava essere definitivamente tramontata e infatti l’anno successivo la RD uscì di produzione… Alcuni anni fa si vociferò di un ritorno di questo modello ma poi non se ne seppe più nulla.

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Ovviamente le notizie su questo mitico modello sono tantissime, noi ve ne abbiamo proposto una sintesi, ma se volte approfondire l’argomento, oltre al citato rdseries, esistono altre fonti, sempre in italiano: tra tutte citiamo il sito amatoriale, ma ben documentato, yamaha-rd.it e quello dell’RD Club, attivo dal 2000 e affiliato FMI. Un altro sito ben realizzato, disponibile in inglese, è rd350lc.net, che si occupa però solo dei modelli raffreddati a liquido, quindi dal 1980 in poi. Qui potete trovare anche i libretti di manutenzione e di officina e anche se la documentazione in italiano è scarsa, tutto il materiale tecnico è disponibile gratuitamente.

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